L'inchiesta è sul Pd? Allora si blocca

Zoia Veronesi, la segretaria storica di Bersani, è accusata di truffa aggravata. Ma dell'indagine scomoda non ci sono tracce

L'inchiesta è sul Pd? Allora si blocca

Piacerebbe capire. Sì, insomma, piacerebbe capire come mai, quando un'inchiesta giudiziaria vira a sinistra, in questo nostro magnifico Paese delle stranezze, inevitabilmente rallenta.
Addirittura, talvolta, sparisce. Inghiottita dal tunnel del «facciamola-dimenticare-che-è-meglio».

Per esempio sembra giunto il tempo di domandarci che fine abbia fatto un'indagine che coinvolge direttamente Pier Luigi Bersani e che, se fosse stata portata avanti con la solerzia e la velocità che caratterizza ben altre inchieste e ben altro personaggio, forse qualche nocumento avrebbe potuto procurargli.

Ma vediamo di ricostruire l'accaduto. È il 24 ottobre del 2012 quando, da Bologna entra in orbita la notizia, decisamente interessante, che Zoia Veronesi, la storica segretaria del leader Pd Pier Luigi Bersani, è indagata per truffa aggravata ai danni della Regione Emilia Romagna. L'inchiesta dei pm bolognesi era partita, in verità, già nel 2010, in seguito a un esposto del deputato finiano Enzo Raisi in cui si ipotizzava la creazione, da parte della Regione Emilia Romagna, di un incarico appositamente per la signora Veronesi. Un posto che le consentisse di continuare a seguire a Roma l'attività del segretario del Pd. Fatto sta che la Veronesi, trasferita nel 2010 a Roma per tenere i rapporti istituzionali tra Regione e Parlamento, avrebbe dovuto almeno fare fotocopie, riordinare dei faldoni, riempire di annotazioni qualche agenda, ma la Procura di Bologna sembrerebbe proprio che non sia riuscita a trovare alcuna traccia del suo lavoro.

Da qui l'ipotesi di truffa aggravata, tanto che la Guardia di Finanza si preoccupa di acquisire adeguata documentazione nella sede romana del Pd e della Regione Emilia-Romagna. E tanto che, il 7 novembre, nemmeno un mese dopo la notifica del provvedimento alla signora Veronesi, anche la Procura della Corte dei conti decide di aprire un fascicolo sull'incarico alla fedelissima segretaria, per verificare che non abbia costituito un danno erariale per le casse della Regione. E il dubbio è lecito perché, secondo l'accusa, la Veronesi avrebbe lavorato a Roma per conto di Bersani, quando in realtà era dipendente della Regione Emilia-Romagna che quindi le pagava stipendio e contributi. Il periodo sotto esame è di poco meno di un anno e mezzo. La cifra contestata alla Veronesi fra stipendi e rimborsi per le missioni a Roma è di circa 150mila euro. Non proprio bruscolini, quindi.

Otto mesi dopo le indagini sono ancora in corso. Ma ce la mettono proprio tutta i magistrati per chiarire la vicenda? Anche questo dubbio è lecito perché alla Corte dei Conti, se non andiamo errati (ma siamo sicuri che non andiamo errati), molti procedimenti sono stati recentemente riordinati e, sbucato come per incanto il fascicolo sulla vicenda di Veronesi, è stato classificato come «prioritario» da parte dei magistrati contabili.

Quindi riassumendo, al momento, sulla vicenda Veronesi ci sono due inchieste che non si sa che fine abbiano fatto: quella della Procura contabile, e quella della Procura ordinaria, che ha un fascicolo in cui risultano iscritti l'ex capo di gabinetto di Vasco Errani, Bruno Solaroli, per abuso d'ufficio e Zoia Veronesi per truffa. Stando alle accuse ipotizzate dagli investigatori fu infatti proprio Bruno Solaroli a firmare nel 2008 due delibere su misura per Zoia Veronesi.

La prima in cui la nominò dirigente «professional», la seconda con la quale dal nulla confezionò, per la gentile signora, un incarico ad hoc di raccordo con il Parlamento nominandola praticamente responsabile di stessa. Con buona pace e soddisfazione del mitico, immarcescibile, Pier Luigi.

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