L'insostenibile leggerezza dello stile di Re Giorgio

«I ricordi sono una cosa che hai o che hai perduto» si chiede Woody Allen in Another Woman, un film per altro dimenticabile. Armani risponde con la collezione uomo in passerella ieri a Milano e titolata «Echi di Armani» perché risuona di tutti i suoi stilemi: 40 anni di eleganza e d'invenzione. Fin dalla prima uscita con i due lunghi spolverini svolazzanti sui pantaloni dalle impeccabili pince sembra di rivedere qualcosa che ben conosciamo e molto amiamo: le foto dei primi anni '80 di Aldo Fallai per il Maestro. C'è anche questo, ma soprattutto c'è il nuovo: tessuti più leggeri e tecnologici, proporzioni rivoluzionate, una maggior sicurezza nell'enfatizzare il bello del corpo maschile. Passiamo il resto dello show a sobbalzare ogni qual volta ci sembra di rivedere qualcosa: gli straordinari abbinamenti tra giacche, camicie e cravatte studiati per Richard Gere in American Gigolò, l'incredibile giacca di jersey battezzata «Beckham» perché il primo ad adorarla è stato l'allora bomber del Manchester United, i calzoni con una linea vagamente ispirata agli anni '40, la magia dei colori. «Ci sono ma è come se non ci fossero» dice infatti lui nel backstage bombardato di domande. Spigolando tra gli appunti troviamo una selva di punti interrogativi dopo parole come «bianco-ottico», «grigio plumbeo», «blu di mezzanotte», «azzurro Oxford», «petrolio», «perla» e «verde inglese». Impossibile trovare una tendenza cromatica di stagione anche se poi ci sono tutte le tinte su cui puntano tutti più le sue. Tra le fantasie c'è perfino il macro pois che poi ritroveremo nella collezione di Scervino mentre da Armani è quasi un falso unito come i quadretti, il micro Principe di Galles, i segni appena percettibili sulla trama. Insomma una vera e propria magia: un futuro che ha qualcosa del passato, il ricordo del nuovo. Lo scrittore scozzese James M. Barrie diceva che Dio ci ha dato la memoria così possiamo avere le rose anche a dicembre. Armani dimostra che è proprio vero. Molto diversa anche se sempre giocata sul filo dei ricordi personali, la sfilata di Roberto Cavalli ha qualcosa di perfetto (la leggerezza dei materiali a cominciare dalla pelle traforata ad arte e le stampe animalier come scolorite dal sole) e di profondamente sbagliato allo stesso tempo. Il simpatico stilista toscano si è infatti ispirato a quando andava a Miami per le sue vacanze da playboy tra la fine degli anni '70 e i primi anni '80. In passerella c'è perfino la sua Ferrari Daytona del 1970 in mezzo a un'installazione di tubi al neon stile Dan Flavin come scenografica citazione dell'auto sportiva di Don Johnson nel telefilm Miami Vice.
Peccato che l'immagine dei modelli ricordi un po' troppo quella degli uomini che hanno posato per il libro South Beach Stories di Gianni Donatella Versace (Leonardo Editore 1993) e che l'impianto della sfilata alla fine c'impedisca di apprezzare la perfezione delle stampe a effetto, ottenute cioè con un pigmento che sfalsa l'immagine. Ci sono anche queste oltre alle lacche al silicone che rendono il tessuto simile alla pelle o viceversa: le soluzioni made in Italy che rendono la moda Cavalli unica e straordinaria nel mondo. Sfugge al pericolo dell'Amarcord senza capo né coda la collezione N.

21 disegnata dal bravissimo Alessandro Dell'Acqua con un omaggio al surf senza per altro citare neanche per sbaglio Un mercoledì da leoni, film di John Milius. Peccato che il calendario compresso all'inverosimile c'impedisca di vederla dal vivo.

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