L'ultimo "scudo" per far rientrare i soldi dalla Svizzera

Ecco l'ultimo "scudo" per far rientrare i soldi dalla Svizzera

E anche la Svizzera, con il suo tradizionale segreto bancario, è capitolata. Sono guai per quegli italiani che non credendo e non approfittando dello scudo fiscale hanno mantenuto i loro quattrini nella confederazione. Ma andiamo per ordine e vediamo che cosa sta succedendo.
La Svizzera ha deciso di uscire dalle cosiddette black list fiscali in cui è piombata: dall'Italia agli Stati Uniti è considerato molto sospetto avere a che fare con banche della confederazione elvetica. Persino l'esotica Singapore ad agosto di quest'anno ha fatto pulizia nelle sue norme e si è allineata agli standard di trasparenza internazionale. Berna non ha più intenzione di rimanere un'isola in mezzo all'Europa. A ciò si aggiunga il comportamento delle banche elvetiche. I vertici dei principali istituti hanno in queste settimane avviato un repulisti delle posizioni meno trasparenti: l'obiettivo, concordato ovviamente con la Confederazione, è quello di mantenere le masse amministrate, non più per la loro protezione dal punto di vista informativo, ma per la qualità dei servizi offerti. Illusi? Vedremo. Ciò che rileva è che la pacchia è finita. Autorità governative e banche sono sulla stessa linea e il correntista anonimo italiano che ancora avesse risorse oltre le Alpi nei prossimi mesi rischia di vedere la proprio posizione resa pubblica o comunque accessibile alle autorità finanziarie italiane.
Dall'altra parte l'Agenzia delle Entrate non perde tempo. L'ufficio che si occupa di queste pratiche si chiama Ucifi ed è guidato da un ex uomo della Guardia di Finanza che di queste cose se ne intende. Eccome. Una via d'uscita per l'incallito risparmiatore con i quattrini all'estero ancora c'è. Si tratta di una procedura non molto nota, ma che sempre più spesso, proprio per il nuovo atteggiamento svizzero, si sta verificando. Si chiama autodichiarazione on a noname basis. Funziona più o meno così. Un professionista si presenta all'Ucifi ed espone su basi del tutto anonime la posizione finanziaria di un suo cliente all'estero. Questo è il conto, è lì da tot anni, questi i rendimenti e i movimenti e soprattutto l'origine. Sulle basi di questa informazione si cerca un accordo sulle imposte e sanzioni da pagare. Una volta raggiunto l'accordo (non è ovviamente così facile come la scriviamo sulla zuppa) si svela il titolare del conto e si chiude l'accordo. Diciamo che su un conto stagionato (cioè presente in Svizzera da 10 anni senza particolari movimentazioni) di 1 milione di euro si potrebbe riuscire a pagare 150mila euro tra imposte dovute e sanzioni scontate. Circa il 15 per cento del montante. Molto più di quanto si potesse fare con i diversi scudi fiscali, ma molto meno degli accordi Rubik fatti dalla Svizzera con Germania, Austria e Regno unito.
C'è però un grande freno allo sviluppo di questo genere di accordi. E cioè il lato penale. Un'evasione che superasse negli ultimi anni i 100mila euro e negli ultimi due i 50mila farebbe subito scattare le procure. La procedura con l'Ucifi non può ovviamente eliminare l'aspetto penale. Per i patrimoni all'estero di piccola entità nessun problema, per gli altri sono cavoli. A meno di mettere già in conto un patteggiamento. Una possibile via d'uscita esiste. Ed è stata ipotizzata dalla cosiddetta commissione Greco (sì, sì il pm della Procura di Milano) sul reato di autoriciclaggio a suo tempo insediata al ministero della Giustizia dal ministro Severino e rispolverata (addirittura nel suo recente discorso alle Camere) dal premier Letta. In sintesi la commissione Greco ha studiato nei suoi lavori una norma esimente il reato penale per chi autodenunciasse il proprio patrimonio all'estero.

Una norma pensata per dare un nuovo impulso all'emersione dei patrimoni in Svizzera, ma non solo.
La morale è molto semplice. Con un clic oggi si possono spostare centinaia di milioni di euro da un paese all'altro. Ma sarà sempre più difficile non farlo sapere al fisco di casa propria.

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