In manette i fratelli delle scalate rosse

Inchiesta Sopaf, arrestati i tre Magnoni: Ruggero fu il finanziere di De Benedetti e tra i protagonisti dell'assalto a Telecom

In manette i fratelli delle scalate rosse

C'è un quarto di secolo di storie di finanza e Borsa nel cognome dei tre fratelli arrestati ieri per ordine della procura di Milano: Aldo, Giorgio e Ruggero Magnoni. Storie non sempre chiare e spesso finite male. Come l'ultima, la Sopaf, società quotata in Borsa, ma da due anni in concordato preventivo. Ed è nell'ambito dell'inchiesta aperta su Sopaf un anno fa che il giovane emergente pm milanese Gaetano Ruta ha ieri disposto gli arresti dei tre, oltre che di un figlio di Giorgio (Luca Magnoni) e di altri banchieri e finanzieri. Pesantissime le accuse: associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta, truffa, appropriazione indebita e frode fiscale. I finanzieri avrebbero accertato una distrazione di oltre 100 milioni dal patrimonio della società. Le truffe, per un totale di 79 milioni, riguardano anche le casse previdenziali di medici, ragionieri e giornalisti. (Il che non faciliterà gli indagati nel godere di buona stampa). Ma chi sono i Magnoni?
Banca e finanza stanno nel loro Dna così come la capacità di mettere piede in alcune delle più spericolate e drammatiche vicende bancarie di questo Paese. Il padre dei tre arrestati ieri, Giuliano, era tra i soci di Michele Sindona, bancarottiere con la Banca Privata Finanziaria e criminale, legato a mafia e P2, assassinato in carcere dopo essere stato condannato all'ergastolo per l'omicidio di Giorgio Ambrosoli. Un altro dei fratelli Magnoni, Piersandro, lavorava con Sindona, di cui aveva sposato la figlia.
Ruggero, 63 anni, lode alla Bocconi e master a New York, seguendo le orme del fratello Giorgio, 11 anni più vecchio, dopo gli studi entra in banca. E non una qualunque, ma la Lehman Brothers, stella di prima grandezza del boom finanziario anni 80-90-2000, di cui scala posizione su posizione fino alla vicepresidenza per l'Europa. Sono i decenni in cui le banche d'affari fanno soldi a palate e i suoi banchieri incassano bonus mai visti prima. Fino al culmine del settembre 2008, quando inizia la grande crisi non ancora finita oggi, segnata proprio dal crac della Lehman.
In Italia, dalla fine dei Settanta, Magnoni diventa il finanziere di fiducia di Carlo De Benedetti, con il quale mette in piedi i fondi di Finanza & Futuro. È il boom dell'era Olivetti e Ruggero di quel mondo conosce tutti i manager, compreso Roberto Colaninno. Ed è in questo ambito culturale-finanziario che, sempre con la Lehman, matura e inventa molte delle operazioni che lo vedranno protagonista. Fino alla madre di tutte le scalate, 1999, quella di Olivetti alla Telecom. Operazione condotta in porto dalla «razza padana», sotto la regia di Colaninno, con la copertura politica e governativa dell'allora governo D'Alema. Tra i protagonisti della scalata Telecom, dentro alle holding Bell e Hopa, si ritrovarono tra gli altri sia Mps, sia Unipol. E tra le tante «scatole» utilizzate venne alla luce anche il famoso Oak Fund (Fondo Quercia, l'allora simbolo dei Ds). Un veicolo messo a punto, non a caso, dal fratello Giorgio (che era l'amministratore), basato in paradisi fiscali e con risorse di provenienza mai chiarita fino in fondo. Con Colaninno i Magnoni restano in affari anche dopo Telecom, nella holding Immsi, aiutandolo nella conquista della Piaggio e, nel momento peggiore della Fiat (2003-04), addirittura suggerendogli il colpaccio sul Lingotto. Lehman Brothers, negli anni, lavora anche con il mondo Fininvest e Silvio Berlusconi conosce Magnoni con il quale collabora per alcune operazioni tra cui l'avvio di Telepiù.
A differenza di Ruggero, Giorgio è descritto da chi lo conosce come meno perfezionista.

E il crac Sopaf potrebbe esserne l'estrema conseguenza: Giorgio e il figlio Luca stavano in società, rispettivamente come ad e consigliere. Mentre Ruggero e Aldo avrebbero contribuito alle operazioni illecite studiando manovre finanziarie e immobiliari.

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