Una manina italiana dietro le critiche del Fmi al taglio delle imposte

La richiesta di mantenere l'Imu è la prova di un intervento di parte sul Fondo monetario. Ma Letta non cede: "Riformeremo la tassa"

Una manina italiana dietro le critiche del Fmi al taglio delle imposte

Chissà come mai il Fondo monetario internazionale si interessa a una misura così di dettaglio come l'abolizione del'Imu sulla prima casa, che per giunta è ancora tutta de definire. Chissà coma mai nel documento conclusivo della missione italiana del Fondo - nella parte dove si sostiene debba essere mantenuta l'imposta sulla prima casa - spunta il termine «equità». «Di solito, nei documenti dell'organizzazione di Washington, quando si scrive equity, si intendono azioni a valore variabile non una maggiore progressività delle imposte», ironizzavano ieri al ministero dell'Economia. Invece pare proprio che questa volta il Fondo abbia richiamato l'Italia a lasciare una tassa sulla prima casa per ragioni di «equità». Ragionamento perfetto per un manifesto di quella parte di sinistra che vede nel fisco uno strumento di redistribuzione, molto meno per il documento di un'organizzazione che ci invita - e lo fa anche con questo ultimo report - a creare un ambiente più favorevole al mercato.

La voce circola nei palazzi romani da giovedì sera, insieme a ricostruzioni circostanziate sugli equilibri politici all'interno del Dicastero di via XX settembre. La parte sull'Imu nel documento conclusivo della missione italiana del fondo è farina di un sacco italiano, finita dentro un po' per sbaglio e un po' per la fiducia che gli economisti del fondo ripongono nei tradizionali interlocutori italiani. Il capogruppo Pdl Renato Brunetta l'ha messo sotto forma di provocazione e «cattivo pensiero». «Magari qualcuno all'interno del ministero dell'Economia e delle finanze» ha «chiesto un aiutino al Fondo monetario internazionale, “dicci quello, piuttosto che quello“, per ragioni di cucina interna». Le voci sull'aiutino del Fmi ieri si incrociavano con quelle che vedono un premier Enrico Letta sempre meno contento per le iniziative del ministro Fabrizio Saccomanni, apparentemente tecniche, ma spesso non neutre politicamente.

Le delegazioni del Fmi non sono monadi impenetrabili. Assorbono una serie di input e quella guidata da Kenneth Kang nel Belpaese dal 26 giugno al 4 luglio non ha fatto eccezioni. Ha incontrato rappresentati del mondo dell'economia, poi ha scritto un testo che è stato visto dal dicastero di via XX Settembre. Sul quale né Saccomanni né gli altri hanno avuto da ridire, se non in alcune previsioni sul Pil ritenute troppo pessimiste.

Ma non è detto che il suggeritore sia il ministro in prima persona. Il Fondo, raccontavano dal ministero, ha un rapporto privilegiato con il dipartimento per le politiche fiscali che non può non avere visto il documento conclusivo. Poi, nello staff del ministro c'è Vieri Ceriani, ex sottosegretario del governo Monti, economista vicino a Vincenzo Visco, che aveva accompagnato alcune precedenti missioni ai tempi di Vittorio Grilli, tanto che nel ministero c'era chi indicava in modo preciso proprio nel consulente di Saccomanni il principale suggeritore del Fmi.

C'è poi da tenere conto che ha lavorato per il Fondo un viceministro, Stefano Fassina, che è anche un esponente di punta del Partito democratico, tra i papabili a segreteria e premiership. Poi c'è la macchina del dicastero, sempre più saldamente in mano a dirigenti e funzionari vicini alla sinistra.

I sospetti suggeritori sono tanti. Ed è fin troppo facile fare il gioco del «a chi giova». Tirare la corda significa cercare una reazione del Pdl, che ha fatto dell'abolizione dell'Imu sulla prima casa il cardine della partecipazione al governo. Lo sa anche il premier Enrico Letta.

Le parole sull'Imu che ha pronunciato ieri («Faremo un riforma che supera l'Imu così com'è e riconfermo che questa è l'indicazione» del governo») sono state interpretate come un altolà preventivo a chi, nella maggioranza, vorrebbe disarcionarlo senza prendersene la responsabilità, diretta. E un invito a una maggiore prudenza rivolto ai colleghi di governo.

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