Mediaset, Cav preoccupato dalle pressioni sulla Consulta

Berlusconi ai suoi: ingerenze sulla Corte costituzionale, in campo anche il partito di Repubblica. Soldi al Pdl, ogni regione dovrà raccogliere fondi in autonomia

Mediaset, Cav preoccupato dalle pressioni sulla Consulta

L'inverno dell'anno scorso toccò alle primarie del Pdl. Quest'estate, invece, il tormentone rischia d'essere quello del ritorno a Forza Italia. Certo, che Berlusconi non sia entusiasta del Pdl non è una novità, così come non è un mistero che sia convinto della necessità di un profondo restyling. Ma di qui a pensare a un ritorno tout court a Forza Italia ce ne passa, soprattutto finché non c'è la certezza di elezioni politiche a breve (il rischio sarebbe quello di bruciare la novità, al netto di tutte le complicazioni statuarie e legali).

Che però il Cavaliere guardi con interesse al progetto di ristrutturazione che gli hanno presentato Verdini, Santanché e Capezzone è fuor di dubbio. Soprattutto nella parte dell'organizzazione del partito non più su base nazionale ma territoriale. Ogni coordinatore regionale, infatti, si dovrebbe far carico del fund raising per gestire le strutture locali. Per capirci, ogni coordinamento verrebbe ad avere la sua partita Iva e si occuperebbe in prima persona di tutte le questioni amministrative locali (che non sarebbero più di competenza di via dell'Umiltà). Dunque, una delocalizzazione delle spese e della raccolta fondi. Con una quota che dovrebbe essere versata alla sede centrale. I criteri stabiliti sono piuttosto rigidi e sono state addirittura previste delle tabelle con la quantificazione degli obiettivi di fondi da raccogliere per ogni regione (in Toscana, per esempio, un milione e mezzo di euro). Una modifica, insomma, che rischia di cambiare nettamente gli equilibri interni del partito. Anche se, fa notare qualcuno, non si capisce perché con la necessità di soldi che ha il partito in questa legislatura non sia ripresa l'abitudine di far versare ad ognuno dei 188 parlamentari 800 euro al mese netti nelle casse del Pdl (per un totale di 150mila euro al mese). O almeno, pochi continuano a farlo, i più no perché manca una nuova deliberazione dell'ufficio di presidenza.

In parallelo resta il problema dell'organigramma del partito. Continuano, infatti, le pressioni dei cosiddetti falchi per un «riequilibrio» ai vertici del Pdl, visto che Alfano viene considerato troppo preso dal suo triplo incarico (vicepremier, ministro dell'Interno e segretario di partito). Così, il tam tam di queste ore diversa svariati scenari, compresa la nomina di un nuovo coordinatore del partito che vada a coprire la poltrona ancora vacante di La Russa (e in pole position ci sarebbe Fitto). Un intervento, questo, che non necessiterebbe di modifiche statutarie. Ma tra le ipotesi c'è anche chi caldeggia quella di un Berlusconi pronto ad assumere sulla sua persona non solo la carica di presidente del Pdl ma anche quella di segretario, così da risolvere la querelle senza troppi strappi.

Ed è proprio del Pdl che si parla nella cena a Palazzo Grazioli. Che inizialmente doveva essere una riunione ristretta e che si è poi allargata a circa 25 dirigenti del partito per fare il punto sulle amministrative e sull'eventuale restyling del Pdl.

La testa del Cavaliere, però, continua a restare sulle vicende giudiziarie. Con un Berlusconi – questo confida in privato - sempre più convinto che «il partito di Repubblica stia tirando la volata a chi teorizza la soluzione giudiziaria». Con alcuni dei suoi l'ex premier non ha bisogno di nascondersi dietro la diplomazia e lascia infatti intendere che sono in corso pressioni sulla Corte costituzionale che il 19 dovrà pronunciarsi sul legittimo impedimento nel processo diritti tv. Dal Quirinale, però, sarebbero arrivati segnali positivi nonostante la Consulta parta con undici giudici non favorevoli al Cavaliere contro quattro che dovrebbero essere dalla sua.

Il ragionamento che si fa è su una decisione che pur rimandando alla Cassazione (prevista in autunno) la instradi di fatto giudicando la non concessione del legittimo impedimento nel 2010 un vulnus. Quell'udienza a cui Berlusconi non partecipò, infatti, fu strategica non tanto perché furono sentiti quattro testimoni quanto perché fu decisa la omessa citazione del Cavaliere nelle successive udienze.

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