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Monti si sveglia e alza la voce con Delhi

Primo intervento: telefona al premier indiano. Dopo la campagna del Giornale aumenta il pressing politico

Monti si sveglia e alza la voce con Delhi

Finalmente Mario Monti alza la voce. Il presidente del consiglio si dimentica per un giorno di essere un sottile professore e chiama il premier indiano Manmohan Singh. La telefonata è cordiale, ma il messaggio è chiaro: la giurisdizione sui due marò detenuti nel Kerala è «solo italiana» e l’atteggiamento dell’India, che si ostina a proclamarsi competente sull’incidente accaduto in acque internazionali, potrebbe creare «un pericoloso precedente».
La campagna di mobilitazione che da giorni va avanti in Italia ha dunque ottenuto un primo importante risultato: un po’ tutti i partiti, ma soprattutto quelli del centrodestra, avevano chiesto al nostro capo del governo un intervento energico per sbloccare l’impasse che rischia di avvelenare i rapporti fra New Delhi e Roma. Monti non aveva scelta: del resto la storia dei due militari, ingaggiati per un servizio antipirateria in un mare infestato dai banditi, ha commosso una buona porzione dell’opinione pubblica. E anche la campagna lanciata dal Giornale ha giocato la sua parte: il poster con le facce di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre è diventato un’icona ed è stato appeso in case, negozi, uffici, scuole un po’ in tutta la penisola. Centinaia di foto che documentano la diffusione del manifesto sono arrivate in redazione e sono ben settemila le mail che, su sollecitazione del nostro quotidiano, hanno intasato gli indirizzi di posta elettronica dell’ambasciata indiana a Roma. Monti decide dunque di alzare i toni, lasciandosi alle spalle l’attendismo buonista fin qui dimostrato dalla Farnesina, e fa sentire la propria voce. Telefona a Singh e va dritto al punto, anzi ai punti. Primo: «Il presunto incidente - riassume una nota di Palazzo Chigi - è avvenuto in acque internazionali e la giurisdizione sul caso è solo italiana». Non è chiaro se i due fucilieri abbiano sparato e non si sa nemmeno se siano stati loro a uccidere i due pescatori coinvolti nello scontro. Ma tutte queste circostanze scivolano in secondo piano rispetto al tema di fondo: è l’Italia e solo l’Italia che deve stabilire come siano andate le cose. Monti picchia il pugno sul tavolo e lancia un secondo avvertimento: «Ogni atteggiamento da parte indiana non in linea con il diritto internazionale rischierebbe di creare un pericoloso precedente in materia di missioni di pace». E questo potrebbe giocare paradossalmente anche contro gli interessi di Delhi che partecipa a sua volta a queste «spedizioni».
A quanto pare l’uscita di Monti ottiene subito un primo risultato. «Il presidente Singh - secondo la nota di Palazzo Chigi - ha assicurato che presterà la massima attenzione alle richieste di Monti, a cominciare da quella del trasferimento dei marò dalla prigione ad altro luogo adeguato allo status dei due militari». Il linguaggio è paludato, come nei comunicati della diplomazia, ma la strada tracciata da Singh potrebbe essere quella giusta per sbrogliare la matassa: i due soldati italiani sono di fatto ostaggio delle logiche politiche del Kerala. Qui il 17 e il 18 marzo si terranno sul filo di lana le elezioni e l’opposizione, di sinistra, soffia sul fuoco del nazionalismo puntando il dito contro il partito del Congresso, che fa capo al premier Singh ma anche all’italiana Sonia Gandhi. E curiosamente l’Alta corte del Kerala dovrebbe pronunciarsi nelle stesse ore. Ma se i due prigionieri dovessero essere spostati altrove, magari lontano, la mina potrebbe essere disinnescata. Certo, le urne condizionano pesantemente una questione che sul piano giuridico dovrebbe esser chiarissima. Il partito del Congresso è in grande difficoltà, è andato male nelle ultime consultazioni e in Kerala potrebbe perdere la maggioranza già risicatissima.

Così Sonia Gandhi, che di solito evita come la peste i giornalisti, ha dovuto incontrare la stampa per «escludere» avvicendamenti alla guida del governo centrale. Da Roma, intanto, il procuratore militare ribadisce all’Adn Kronos: «La giurisdizione è italiana. Il fatto è avvenuto in acque internazionali e nel corso di una missione sotto l’egida delle Nazioni Unite».

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