Roma Non era mai successo che un capo di Stato entrasse in polemica diretta con un commissario europeo. Di solito, è compito del ministro competente rispondere alle osservazioni di un commissario. Ora, invece, per replicare allo scetticismo di Olli Rehn sul risanamento italiano scendono in campo il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio e Matteo Renzi. Fabrizio Saccomanni, al contrario, si mostra sorpreso del clamore: «sono colpito che una non notizia sia diventata un tema di discussione».
In un'intervista e in un intervento pubblico, il commissario europeo agli Affari economici ripete quel che la Commissione ha già detto in passato. Vale a dire, che il governo italiano non fa registrare i progressi promessi sul fronte della riduzione del debito. E che le misure previste (come la spending review e le privatizzazioni) sono interventi finora solo annunciati e soltanto tratteggiati dalla legge di Stabilità. Il commissario, in realtà, spiega anche che se in febbraio l'Italia non rispetterà la sua tabella di marcia, la Commissione interverrà con un altro monito; così come è previsto dai trattati europei. Da notare che il 1° marzo di ogni anno Eurostat comunica ufficialmente il livello di deficit e di debito dell'anno precedente. E ciò potrebbe equivalere per l'Italia a una procedura d'infrazione: visto che l'obbiettivo di debito non è stato rispettato e quello di deficit balla sui decimali di punto, sopra o sotto il 3% del Pil.
Di fronte a queste osservazioni, Giorgio Napolitano scende in campo in prima persona. Il capo dello Stato, alla luce delle parole di Olli Rehn, osserva che «a livello europeo si impone una correzione di rotta e un impegno nuovo per promuovere crescita e occupazione». Quando in passato piovevano critiche sull'operato del governo Berlusconi, l'uomo del Colle prendeva le parti degli euroburocrati. Oggi invece, in difesa della politica economica del governo, sottolinea: che «da un lato possiamo essere soddisfatti e orgogliosi dello sforzo fatto per risanare la finanza pubblica, dall'altro questo rapporto è influenzato dalla mancata crescita e dalla recessione. Ci auguriamo che possa essere doppiato il capo che ci porta dalla fase di recessione a quella della ripresa».
Enrico Letta è sicuro che gli obbiettivi di crescita del 2014 saranno confermati (+1% del Pil). «A Rehn dico che i nostri conti sono in ordine, la nostra politica economica è equilibrata. Il nostro impegno va premiato, non frustrato; visto che noi, al contrario di altri Paesi, siamo sotto il 3 per cento». Su questo punto, però, si concentra lo scetticismo del commissario Ue. Ma un commissario - osserva il premier - «non può permettersi di esprimere il concetto di scetticismo». Altrimenti - aggiunge - potrebbe trovarsi «un Europarlamento pieno di euroscettici».
Matteo Renzi è più esplicito: la presa di «posizione di Rehn corrisponde alla sua campagna elettorale e non ai fatti». E si scaglia contro l'Europa dei burocrati. Ma soprattutto contro il tetto del 3% del rapporto deficit/pil che va ridiscusso. «Risale al Trattato di Maastricht del 1992: un modello economico che non c'è più».
Rehn, però, si basa sui numeri del governo e sui Trattati in vigore. E quelli presentati dall'Italia sembrano deviare dal percorso sul quale si sono impegnati Letta e Saccomanni. L'unico che gli dà ragione è Romano Prodi.
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