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Napolitano non molla la presa: la lista bloccata ai box per 3 ore

Il capo dello Stato ingaggia un duello su Esteri e Giustizia: Matteo ottiene la Mogherini, re Giorgio cancella Gratteri. Poi il siluro: "Quattro anni? Non metto la mano sul fuoco"

Napolitano non molla la presa: la lista bloccata ai box per 3 ore

Due ore e mezzo, quasi tre. Non l'ha certo invitato sul Colle a fare due chiacchiere e prendersi un tè, e nemmeno soltanto perché deve mettere una firma sotto un elenco. Così, quando ce l'ha di fronte, ecco che il capo dello Stato esercita la sua «serena collaborazione istituzionale» difendendo, proponendo e cassando ministri. L'incaricato resiste, controbatte, aggiusta il tiro. A un certo punto deve appartarsi per delle consultazioni supplementari, last-minute, per tappare i buchi che si aprono. Ore tese, ma siccome Renzi è un osso duro e questo non è più un governo del presidente, alla fine il lungo scontro si conclude con un pareggio. Matteo riesce a far fuori la Bonino e a imporre alla Farnesina la Mogherini, Napolitano elimina Gratteri dalla Giustizia. Padoan all'Economia sta invece bene a tutti. È un tecnico, ma non è Saccomannni. Nasce dalemiano, ma va d'accordo con Renzi e all'estero non è un perfetto sconosciuto.

Due ore e mezzo, un tempo infinito. Un pomeriggio intero passato a discutere, segno che qualcosa proprio non andava bene. Uscendo dal colloquio il premier ci scherza sopra: «Ogni volta che vengo al Quirinale c'è sempre questa polemica sulla durata degli incontri. Dovendo fare un governo di quattro anni, le due ore e mezza di messa a punto sono ben investite». Renzi è rauco e svociato: ha parlato troppo o troppo forte? «Ringrazio il presidente della Repubblica, faro di tutto per ripagare la sua fiducia».

Napolitano spunta subito dopo e alza un braccio. Scontri? Pressioni? Ma quando mai. «Vorrei assicurare, e mi spiace deluderli, i cultori delle ricostruzioni giornalistiche a tinte forti che il mio braccio non è stato sottoposto né l'altro ieri né oggi ad alcuna prova di ferro. Infatti lo trovate in buone condizioni». Tutto liscio, allora? Non esageriamo. «Da consolidata prassi repubblicana, abbiamo avuto ripetuti scambi di opinioni», racconta Napolitano che, in qualche maniera, ci tiene a mantenere le distanze da questo Matteo I, così pieno di giovani, di donne, di sindaci. «Come sapete, la responsabilità delle proposte è prerogativa costituzionale del presidente del Consiglio». Il quale, come ammette il capo dello Stato, nonostante i consigli è riuscito in molti casi a tenere il punto. «Direi che l'impronta di Matteo Renzi risulta evidente nei molti nomi nuovi chiamati ad assumere per la prima volta il ruolo di ministro della Repubblica». Nomi che evidentemente lo hanno lasciato perplesso.
E qui si notano i tanti anni di differenza, la diversa stagione politica alle spalle dei due. Renzi che ha fretta e che cerca la novità per lasciare il segno, Re Giorgio che lavora per la stabilità e la continuità. Due mondi, che trovano però un terreno comune sulla necessità di fare velocemente le riforme. Ma se Matteo vuole dirigere un esecutivo di legislatura, il presidente sembra più scettico: «Il 2018? Sottoscrivo pienamente l'impegno del premier. Certo la mano del fuoco non ce la posso mettere, però speriamo che vada tutto per il meglio».

La gestazione non è stata facile. «Ma le due ore mezzo di oggi - spiega Napolitano - non sono state di solo incontro, comprendono anche un lavoro parallelo. Io ho fatto un po' di attività di routine, mentre il presidente del Consiglio ha completato le consultazioni per definire la composizione della squadra». In tutto «in un clima di collaborazione istituzionale che si è rispecchiato in consigli e scambi di opinioni». Due mondi, ma se Renzi non gli piace, dovrà farselo piacere. E Letta? Sparito.

«Darà ancora il suo contributo».

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