Niente riforme, Napolitano attacca le Camere

Niente riforme, Napolitano attacca le Camere

RomaUn Parlamento esautorato delle sue funzioni, oppresso da un ricorso ai decreti-legge tra i più elevati della storia repubblicana e ridotto perciò a poco più che un «votificio». Ma anche un Parlamento patologicamente incapace di porre mano alle riforme, di modificare norme e regolamenti che ne rendono le procedure lente e barocche, non adeguate alle necessità di una moderna governance. Due facce, a ben vedere, della stessa medaglia. Un cane che si morde la coda. Ma è anche ora che i partiti si assumano l'impegno di porre fine al circolo vizioso che contribuisce ad affossare il Paese e - come per altre riforme ineludibili e ancora eluse - ad accentuare il fossato tra il popolo e la politica.
Questo il desolante quadro che emerge dalla nota del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in accompagnamento alla promulgazione della spending review appena votata. Il Quirinale, anche in risposta alle ultime polemiche sollevate in merito alla decretazione d'urgenza e alle questioni di fiducia, constata che si tratta di una «prassi di antica data, su cui il presidente Napolitano ha espresso le sue preoccupazioni, tendendo a porvi freno, fin dall'inizio e in tutto il corso del suo mandato». Ben quattro sono stati i messaggi inviati dal capo dello Stato nei quali ricordava alle Camere i limiti per porre la fiducia e invitava a «non abusare di uno strumento che mortifica la democrazia parlamentare». Ripetute sollecitazioni, puntualizza il Colle, che però «non hanno trovato riscontri in conseguenti iniziative e deliberazioni nelle Camere, neppure nella presente legislatura, almeno fino a questo momento».
I tempi sono quelli che sono. Ed è «innegabile che nel corso dell'ultimo il governo precedente e quello attuale hanno dovuto affrontare emergenze e urgenze senza precedenti, insorte in sede europea», rileva Napolitano. Di fronte a situazioni simili, alla peggior crisi del capitalismo nella storia, è chiaro che i limiti di una struttura incapace di auto-riformarsi «per garantire un iter più certo e spedito dei disegni di legge ordinari», come chiede il Quirinale, si facciano ancor più stridenti. Materia per «riflettere», sottolinea la nota presidenziale, e che dovrebbe spingere tutti ad assumere «impegni concreti da parte sia di chi governa sia delle forze politiche, per assicurare tanto un pieno rispetto e un libero svolgimento al ruolo del Parlamento, quanto il tempestivo ed efficace assolvimento dei compiti propri dell'esecutivo».
Nei giorni scorsi era stato Antonio Di Pietro a chiamare in causa il presidente denunciando una violazione della Costituzione da parte del governo Monti che, in otto mesi, ha posto oltre trenta questioni di fiducia. Quasi una su ogni provvedimento varato: una media di decreti-legge superiore a 3,6 provvedimenti il mese, quasi il doppio rispetto alla media mensile del Berlusconi quater (80 decreti-legge in 42 mesi di vita, dal maggio 2008 al novembre 2011). Anche il vicepresidente del Senato, Vannino Chiti, s'era appellato ai presidenti delle Camere: «Così non si può continuare, il ruolo del Parlamento diviene inesistente».
Il monito di Napolitano viene accolto come testimonianza di una «non scontata sensibilità parlamentare» dal vicecapo dei senatori del Pdl, Gaetano Quagliariello. Che fa propria la sollecitazione a riformare con urgenza gli strumenti della democrazia politica, perché «l'equilibrio dei poteri può e deve essere rivisitato, ma mai può essere stravolto in modo unilaterale».

Non depone le armi invece Di Pietro, che giudica la nota come «la classica preoccupazione del giorno dopo, che unisce al danno la beffa: non è stato consentito un attento esame in Parlamento, riducendo così le Camere al ruolo di passacarte».

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