Oh, certo, facendo zapping col telecomando vi sarete certamente imbattuti, ieri sera, in uno dei soliti Soloni che dicono la loro, a gettone, sul disagio giovanile, sulla famiglia in crisi, sulla società che ha perso i suoi valori di riferimento. Psicologi, avventurieri dell'inconscio, specialisti dell'aria fritta però servita con contorno di parole difficili, di quelle che intimidiscono. Ma capire davvero cosa c'è dietro il gesto irreparabile, definitivo, di una ragazzina di 12 anni che lascia scritto «Odio la scuola», «Odio la famiglia», e si butta dal quinto piano, quello non lo capisce nessuno.
È accaduto lunedì mattina a Trieste, tra i palazzi di un quartiere medio borghese, balconi ordinati, fioriti, in via Cologna. Doveva essere il suo primo giorno di scuola. Seconda media. Ma anche la scuola, certe volte, sembra mostrare solo il suo volto più arido, più arcigno. E allora può accadere che i due disagi: la scuola, una famiglia di cui non sappiamo quasi nulla (genitori separati, una sorellastra) se non che alimenta infelicità, dolore, si intreccino, si alimentino a vicenda, ingigantendo nell'animo già turbato, già profondamente scosso di una ragazzina che un bel mattino dice basta.
Saranno state le 7.15. Anna, chiamiamola così, è in cucina. In casa ci sono solo lei e la madre. Anna ha il telefonino in mano. Scrive un messaggio. «Odio la scuola». E un rigo più sotto: «Odio la famiglia». È il suo striminzito testamento. È un messaggio che non spedisce. Resta lì, sul display del telefono, e il telefono è appoggiato al piano della cucina. Poi, senza far rumore, Anna accosta una sedia alla finestra. Si toglie le ciabatte, le allinea ordinatamente sotto la sedia. Poi eccola in piedi, sul davanzale. Uno sguardo al cielo di Trieste, un momento di imperdonabile distrazione del suo angelo custode, ed eccola volare giù, a braccia aperte. Cinque piani. Il corpo di Anna rimbalza sui fili della biancheria, urta un muretto, si schianta nel cortile sottostante, proprio accanto a un'aiuola colma di gerani. Morta. Intorno a lei, eccetto l'inutile urlìo dell'ambulanza, c'è silenzio.
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