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È ora di far ripartire l'Italia: deponiamo odio e bandiere

La Terza repubblica delle larghe intese è l'occasione per un nuovo Dopoguerra. Occorre bonificare il terreno politico dal veleno che ha segnato gli ultimi anni

È ora di far ripartire l'Italia: deponiamo odio e bandiere

La destra è fatta di sua natura di tre filoni che non stanno naturalmente insieme, non combaciano ma possono allearsi: la destra identitaria (nella memoria del fascismo sociale, in genere refrattario al capitalismo e alla borghesia) quella conservatrice comune a tutte le democrazie occidentali e quello liberale. Il filone liberale è un po' come quello socialista: nel corso dello scorso secolo si sono svenati e smembrati a forza di scissioni mettendo al mondo quasi tutti i partiti derivati. Anche il fascismo, come il comunismo, nasce dalla stessa costola socialista. Pochi ricordano che Mussolini fu il leader rosso più famoso d'Europa negli anni Dieci dello scorso secolo insieme a Lenin il quale aveva per lui un vero debole mentre considerava i comunisti italiani eredi della scissione di Livorno come personaggi quasi comici.
Il «socialismo» del duce, malgrado le infami leggi razziali e l'entrata in guerra restò sempre con questa fissa in testa del socialismo: cercò di attrarre degli illusi comunisti a Salò come il disgraziato Nicola Bombacci che finì fucilato e a testa in giù a piazzale Loreto. Mussolini non nascondeva la speranza che fosse Stalin a vincere la guerra affinché sterminasse i capitalisti borghesi. Dei comunisti ripeteva spesso «sono tutti miei figli», un'esagerazione ma non del tutto infondata.
Dall'altra parte la costola comunista del Dopoguerra si affidò a leader di ferro nella tradizione semidivina di quella famiglia. I giovani Pci scandivano lo slogan: «Viva Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer». Nessuno - allora - a sinistra aveva il minimo dubbio che «le masse» dovessero essere guidate da un capo mitico, indiscutibile, divinizzato, il quale «dettava la linea». La «linea» era ricevuta come la grazia e una volta diffusa attraverso l'Unità, iscritti e giornalisti, segretari di sezione e parlamentari dovevano soltanto imparare a memoria l'illustrazione della linea e ripeterla, non senza aver fatto ricorso all'efficace espediente di farla davvero propria. C'era allora, finché quel partito fu vivo col suo nome e prima delle infinite metamorfosi, qualche traccia di liberalismo? Francamente no. C'erano semmai uomini detti «di destra», come Giorgio Amendola figlio del liberale Giovanni Amendola (al cui nome è intitolato l'istituto di previdenza dei giornalisti italiani) il quale nel partito rappresentava la linea più antistalinista.
Il secolo scorso è stato un gran porcaio di avvenimenti che ci lasciamo alle spalle occultati come la polvere sotto il tappeto della memoria. Chi se li ricorda più? Chi li conosce? E - in definitiva, diranno i più giovani - che cosa ce ne importa? Da quel porcaio di guerre mondiali e civili, di guerre fredde e roventi, di odi forsennati mai spenti e spesso mai vendicati dalla giustizia e dalla Storia, nacque tutto o quasi tutto il fardello di divisioni e schieramenti contrapposti (ma conviventi e conniventi) che chiamiamo pietosamente «prima Repubblica».
Tutto ciò ha di fatto soffocato il dialogo libero, la presa di distanza necessaria, la voglia di capire, comprendere, mettere a confronto e risolvere. E ne è derivato quel sistema politico che ieri ho chiamato tolemaico: l'idea che le posizioni politiche si possano sistemare lungo un segmento di retta che abbia agli estremi la bandiera rossa da una parte e la bandiera nera dall'altra, lasciando agli intermedi la fatica di trovarsi un posto a sedere nella fila di sedie che sta sulla linea fra le due estremità.
La cosiddetta Terza repubblica è nata sulla cenere non spenta della prima. Durante la prima Repubblica il conflitto finale si era concentrato nella guerra a Craxi e al craxismo, tale e quale, precisa identica a quella che ne è seguita contro il berlusconismo, facilitata anche dal fatto che Berlusconi fu amico di Craxi e Craxi non faceva mistero di questa amicizia.
I giovani non hanno forse idea di che cosa fu la guerra contro Craxi, che fu molte cose insieme, ma prima di tutto il proseguimento della Guerra Fredda, finché ce ne fu una. E ve ne fu una di Guerra Fredda finché il sistema sovietico si suicidò impiccandosi con le sue stesse mani, insaponando la propria corda. Quando il suicidio avvenne, il Partito comunista si ritrovò come il Don Falcuccio della favola costretto a coprirsi le vergogne con una mano davanti e una di dietro. Fu allora che l'Italia fu investita dallo tsunami di Tangentopoli, fu allora che Craxi fu abbattuto, che un fronte internazionale esterno cadde per aprire lo spazio al solo fronte interno con una politica di veleni, odi senza quartiere.
E fu allora che Berlusconi si trovò quasi naturalmente proiettato nell'arena politica sia per una sua propria scelta, sia perché fortemente premuto dai liberali di allora che contavano qualcosa, a cominciare da Gianni Agnelli, con Francesco Cossiga e Renato Altissimo. Ma i liberali non erano un partito e neanche una corrente. Erano singoli uomini che cercavano di salvare il salvabile di un mondo occidentale: «Se lui vince, vince per tutti e se perde, perde da solo», disse cinicamente l'Avvocato benedicendo segretamente la discesa in campo del Cavaliere. Il resto è storia e cronaca più recente. Scontri apocalittici sul fronte politico e giudiziario, campagne di stampa e diffusione artificiosa e artificiale di un comune sentire con cui Berlusconi è stato dipinto come un mostro, una creatura abominevole che va braccata e eliminata con lo stesso tipo di battuta di caccia che fu lanciata contro il «cinghialone» cioè Bettino Craxi.
Oggi si dà una situazione nuova. Anche grazie alle larghe intese o come le vogliamo chiamare. Se questo governo regge si può vivere la stagione dello sminamento, la fase in cui si tolgono dalle piazze i cavalletti e le ghigliottine, si rimandano a casa i boia e si pensionano gli araldi. È, può essere, speriamo che sia, un Dopoguerra. Una fase nuova in cui, sine ira ac studio, ma con memoria e senza vendette, si possano rimettere le cose a posto e ripristinare i valori che sono rimasti impacchettati e chiusi nello scantinato. Fra questi, prima di tutto, quello spirito liberale e rivoluzionario, gentilmente rivoluzionario, di cui l'Italia ha bisogno per poter dire sì, sì e no, no. Non soltanto alla Merkel, ma a chiunque. La rinascita, o meglio lo scongelamento dei valori di libertà non costa nulla. Non fa crescere il debito pubblico, ma certamente lo riduce. È l'ora in cui la bella addormentata della favola si risveglia e tutta la vita della società riprende a vivere senza incantesimi né veleni, facendo a meno dello spirito di squadra calcistica basato sulle «identità». Mettiamo a riposare le identità e facciamo lavorare il cervello.

E il cuore.
(3 - Fine)

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