Il Paese non compra più Consumi in picchiata come nel Dopoguerra

RomaUno scivolone nei consumi di queste dimensioni non c'è mai stato nella storia repubblicana. Da quando esiste la statistica si rintraccia un solo precedente, subito dopo la crisi mondiale del 1929. La grande depressione, dal punto di vista dei comportamenti dei consumatori nel 1930 si fece sentire in modo simile alla attuale crisi finanziaria. Confcommercio ha stimato che quest'anno i consumi pro capite del nostro Paese caleranno non del 2,7% come previsto, ma del 2,8%, con un ulteriore abbassamento dello 0,8% il prossimo anno. «Mai così male dal Dopoguerra», ha spiegato ieri il direttore del centro studi Mariano Bella. Gli effetti sul commercio sono drammatici. Nel 2012 chiuderanno oltre 20mila negozi, «stima forse ottimistica».
Ma non va meglio alle famiglie. In media dal 2007, prima dello scoppio della crisi, ha detto Bella, «i cittadini italiani hanno perso il 9,3% del loro reddito, un numero impressionante perché perdere quasi 10 punti di reddito vuol dire doversi riposizionare sul fronte dei consumi. Nel 2000 gli italiani avevano un reddito superiore di 4mila euro alla media europea che si sono ridotti oggi ad appena 400 euro».
Confcommercio rileva un calo generalizzato di tutte le attività economiche. Il Pil, secondo la principale associazione dei commercianti, si attesterà a -2,2 per cento mentre le precedenti previsioni erano di un calo dell'1,3 per cento. Un nuovo tonfo, per il momento un po' meno accentuato rispetto a quello del 2008 e del 2009, anche se presto raggiungeremo nuovi minimi storici. Situazione ancora più grave perché è stato vanificato il breve tentativo di ripresa del secondo e terzo trimestre del 2011.
Un problema anche per i conti pubblici. Se fossimo cresciuti come la Francia o la Germania in questi anni, cioè se fossimo nel gruppo dei paesi europei che hanno retto meglio, «avremmo 200 miliardi di Pil in più e circa 90 miliardi di gettito fiscale in più, abbastanza da evitare tutte le manovre di questi anni».
La soluzione che individua il presidente Confcommercio Carlo Sangalli passa per una ripresa dell'economia dei servizi, che da sola «vale il 40% del Pil e il 43% dell'occupazione» e ha bisogno, come degli altri settori, di una riduzione delle tasse. «La riforma fiscale resta prioritaria, con due obiettivi: quello della semplificazione e quello della riduzione della pressione, che per i contribuenti in regola è ormai al 55%». «Bisogna coniugare rigore e spinta alla crescita attraverso una riqualificazione della spesa pubblica per il pareggio del bilancio attraverso il recupero dell'evasione per arrivare gradualmente a una riduzione delle aliquote fiscali».
Ma, prima di tutto, è necessario evitare l'aumento dell'Iva che il governo Monti ha per il momento solo rinviato al prossimo anno. «Bisogna - auspica Sangalli - fare di tutto per derubricare definitivamente, attraverso l'avanzamento di una Spending review senza timidezze, l'ipotesi di un ulteriore aumento dell'Iva».
Segnali di crisi nei consumi arrivano anche da una ricerca Findomestic, dalla quale emerge che in agosto la fiducia dei cittadini è ai minimi storici (3,2 punti) e l'unico mezzo di trasporto che ha fatto segnare un incremento è la bicicletta. Circa 7 persone su 10, inoltre, per effetto del caro-carburanti, hanno affermato di aver cambiato modo di muoversi sia durante la settimana che in vacanza.


In crisi anche il credito alle imprese. Nel 2012, secondo la Cgia di Mestre, c'è stata una riduzione dei prestiti bancari alle aziende per 30,4 miliardi di euro. Uno scenario che riporta il calendario indietro di 83 anni.

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