Tifoso accanito lo è, dell'Inter. Se sia anche un po' superstizioso, come spesso accade nel mondo del calcio, non è dato sapere. Certo però che Antonio Ingroia, ormai «ex» praticamente tutto - ex magistrato, ex pm della Procura di Palermo, ex candidato premier, persino leader di un ex partito, «Rivoluzione civile», nato e sciolto dopo il flop elettorale se pure scaramantico non è, dovrebbe fare comunque i debiti scongiuri. Perché da quando quella maledetta frase su Forza Italia «partito nato anche da un'ispirazione di favore rispetto agli interessi di Cosa nostra» gli è sfuggita scatenando le ire degli «azzurri» di tutta Italia, non gliene va bene una. Quasi che quella cattiveria gratuita su Forza Italia - lui stesso ammette che la sua affermazione non è supportata da prove - continui a rimbalzare su tutti i progetti che porta avanti. In una sorta di contrappasso che, da «re» dei pm antimafia, l'ha fatto diventare una comparsa della politica.
«Non è vero ma ci credo...», diceva De Filippo. E, dando un occhio alle date, anche Ingroia dovrebbe farci un pensierino. È il 29 novembre del 2012 quando l'affermazione choc sugli «azzurri» dell'allora ancora pm distaccato in Guatemala fa saltare in aria i simpatizzanti di Forza Italia, coalizzati poi dalla petizione promossa dal Giornale nella causa collettiva al grido di battaglia di: «Sono di Forza Italia, non sono mafioso. Ingroia mi diffama». Il futuro del pm più sotto i riflettori d'Italia, all'epoca, sembra roseo. Anzi, dorato. Sì, una sberla gli arriva dalla Consulta, che il 4 dicembre fa sapere che dà ragione a Napolitano e che le intercettazioni del capo dello Stato con Mancino (fatte quando il titolare dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia era lui) vanno distrutte. Ma la campagna elettorale ormai imminente fa assorbire la botta. A fine dicembre il salto ufficiale in politica di Ingroia: via la toga, candidato premier di un partito tutto suo, «Rivoluzione civile».
Com'è finita è noto. Altro che «Rivoluzione», con tanto di stilizzazione del «Quarto Stato» di Pellizza da Volpedo nel simbolo. Il flop è totale, persino nella sua Sicilia: 2,2% alla Camera, 1,7% al Senato, zero seggi. Un fallimento assoluto. I partitini di sinistra, delusi, lo abbandonano. Lo scorso 2 maggio l'epilogo: Rivoluzione civile si scioglie, nasce «Azione civile». Leader, più che dimezzato, è sempre lui. Ma l'esperienza politica, a parte l'imitazione di Crozza rimasta negli annali della tv, è funesta.
Calati iuncu ca passa la china, «calati giunco finché passa la piena», dice la saggezza popolare siciliana. Ma la piena di sfiga, per Ingroia, non si esaurisce con il fallimento elettorale. Anzi. Altri guai sono in arrivo. E sono i peggiori, perché vengono dai suoi amici magistrati. Che, schiaffo dopo schiaffo, prima tentano di spedirlo in Val d'Aosta, poi dicono no alla ciambella di salvataggio offertagli dall'amico governatore di Sicilia Crocetta (una poltrona per guidare la società che si occupa della riscossione dei tributi) e poi lo spediscono davvero, come pm, ad Aosta, unica sede possibile perché unico posto in cui non si è candidato a premier. Ingroia si oppone con tutte le sue forze. Per il suo blasone rivendica almeno un incarico alla Dna. Ricorre, contro-ricorre. Ma la sfiga non demorde. Perde, straperde. Ad Aosta, obbligato, si presenta a metà maggio. Va via dopo poche ore. In teoria va in ferie, ma è un addio. Ad Aosta e alla magistratura visto che, non rientrando più in ufficio, si fa cacciare dall'ordine giudiziario. Ora, praticamente, Ingroia è desaparecido.
L'amico Crocetta lo ha piazzato, in Sicilia, al vertice della società che si occupa di informatizzazione. Ma la carica di sfiga resiste. Ora pure il sì alla causa civile contro di lui intentata dai lettori del Giornale. Per quella frase, quella maledetta frase su Forza Italia e mafia. Che è stata l'inizio della sua fine.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.