Partiti senza fondo: 100 milioni non bastano

Pretendono rimborsi pubblici, ma non dicono che ogni anno grazie alle lobby incassano un’autentica fortuna

Partiti senza fondo:  100 milioni non bastano

Roma - «Il finanziamento pubblico è un baluardo della democrazia, senza quello i partiti dipenderebbero dai soldi delle lobby private», tuonano i politici paladini del rimborso elettorale. Attenzione: trattasi di bufala andata a male. Se abolissimo domattina il finanziamento pubblico ai partiti (2,7 miliardi dal ’94 ad oggi, 210 milioni solo nel 2011), i partiti sarebbero ancora ricchi sfondati. Perché? Perché le temute lobby industriali, spauracchio per mantenere il sussidio statale, già rimpinguano generosamente le casse dei tesorieri di partito (se ciò comportasse il rischio di influenzare la politica, il rischio ci sarebbe già da anni).
Qualche cifra. Dalle dichiarazioni che per legge i partiti sono obbligati a presentare (sì, ma solo in caso di finanziamenti superiori ai 50mila euro, sotto quel limite c’è la privacy), si calcola che nel 2010 le contribuzioni private hanno superato i 70 milioni di euro, mentre nel 2008 si attestavano sui 103.407.130 euro. Nel 2007 un po’ meno, 62.197.643 euro, ma l’anno prima, in cui ci sono state le elezioni, molto meglio: 95.323.019 euro. Nel 2005 altri 100.868.960 euro, nel 2004 99.352.204 euro e nel 2003 70.208.270 euro. Grosso modo, i partiti ricevono mediamente 80 milioni di euro all’anno dai privati (cioè industrie, imprenditori, associazioni di categoria o anche singoli cittadini). Una somma che equivale al finanziamento pubblico annuale dei partiti francesi e di quelli spagnoli. Non basta?

«Senza il finanziamento pubblico ci sarebbero solo partiti di Paperon de’ Paperoni», sostiene Anna Finocchiaro, presidente dei senatori Pd. Paperoni come i banchieri del Monte dei Paschi di Siena, che ogni anno finanziano con 200mila euro il loro Pd? O come le cooperative rosse che hanno donato 175.000 al Pd (sezione di Milano), 500mila euro al candidato del Pd Filippo Penati (poi indagato per corruzione e concussione), 85mila euro a Bersani, e altre centinaia di migliaia di euro sempre ai democratici? O Paperoni come il gruppo siderurgico Riva, che ha finanziato con 100mila euro Pierlugi Bersani? O forse la Finocchiaro intendeva ricconi come Diego Della Valle, che nel 2006 ha regalato 100mila euro alla Margherita di Lusi e Rutelli, fondatrice del Pd (mentre il fratello Andrea Della Valle ne donava 150mila all’Udeur)?

Anche l’Udc difende il rimborso elettorale perché (come dice Rao a SkyTg24) «altrimenti solo i ricchi farebbero politica». Ricchi come la famiglia di Gaetano Caltagirone, suocero del leader Casini, che nel 2010 ha finanziato l’Udc con 600mila euro e che nel 2008 ha regalato la metà dei 4.400.000 euro privati arrivati al partito di Casini? I costruttori sono generosi anche con la A del terzetto ABC (Alfano, Bersani, Casini). Al Pdl come partito (senza contare i contributi ai singoli candidati) nel 2010 è arrivato un milione di euro da varie imprese edili come Metro C Spa, Italiana Costruzioni Spa, Master immobiliare Spa, Mezzaroma Ingegneria Spa etc.
Poi ci sarebbero le contribuzioni private dei parlamentari, che di norma per statuto devono versare una quota dell’indennità da parlamentare o consigliere al partito. Sono ancora soldi pubblici ai partiti, perché gli stipendi degli eletti sono pubblici, ma non tutti lo fanno (nel Pdl il tasso di «evasione» è del 52% tra i parlamentari e del 78% tra i consiglieri regionali).

La Lega (che ha ricevuto soldi da Federfarma e piccoli imprenditori) riceve un milione all’anno dai suoi parlamentari (manca però Umberto Bossi).

Tra i donatori di soldi ai partiti ci sono poi tutte la lobby dell’acciaio, quella dei concessionari autostradali (Benetton, Gavio), la lobby delle scommesse (la Snai), la lobby del farmaco, quella del tabacco, quella dell’acciaio. In tutto almeno 80 milioni privati ai partiti. Non bastano?

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