Pd, trappola anti Matteo sulla riforma del Senato

I nemici interni pronti al Vietnam parlamentare sul nuovo assetto di Palazzo Madama. Per questo il premier non svela i suoi piani. E mira al 30% alle Europee

Pd, trappola anti Matteo sulla riforma del Senato

Matteo Renzi guarda al 25 maggio come al giro di boa del suo governo: nel bene o nel male, dopo le elezioni europee le cose cambieranno.

Il potere di veto di alleati come Ncd (che nei sondaggi risulta addirittura sotto il quorum del 4% necessario per entrare nel Parlamento di Strasburgo) potrebbe uscire drasticamente ridimensionato. E con un buon risultato del Pd, attorno alla soglia del 30%, le fronde interne che si danno un gran daffare per frenare il premier verrebbero messe a tacere. Il progetto di «pax renziana» nel Pd ha già fatto passi avanti: ai suoi, Massimo D'Alema ha spiegato che «Renzi ha preso un impegno con me su un mio ruolo nella Ue, e non ho ragioni di dubitare che lo manterrà. Da me non gli verrà alcun problema». Certo, l'ex premier non ha cambiato opinione su Renzi, giudicato «un ragazzino» con poca «esperienza» di governo e troppa «arroganza di stampo craxiano». Ma fino alla partita delle nomine europee, la tregua su quel fronte è garantita.

Con il traguardo di maggio in testa, Renzi vuol portare a casa più risultati possibile, da giocarsi in campagna elettorale. Quindi i provvedimenti su lavoro, cuneo fiscale, scuola e casa; e ovviamente l'Italicum. All'inizio della prossima settimana la nuova legge elettorale verrà finalmente varata dalla Camera e la partita si sposterà a Palazzo Madama, dove gli ostacoli non mancheranno. Innanzitutto sui tempi: Renzi vuole che la legge sia approvata prima del 25 maggio, ma gli oppositori già promettono battaglia. «Il premier non penserà mica che la terremo meno di un mese e mezzo in commissione Affari costituzionali», va dicendo il leghista Roberto Calderoli. Presidente della commissione, a Palazzo Madama, è Anna Finocchiaro, acerrima nemica interna di Renzi che già ha pubblicamente minacciato vasti rimaneggiamenti dell'Italicum.

E gran parte dei membri Pd sono di osservanza bersaniana o lettiana, quindi assai disponibili a dare del filo da torcere al leader Pd. Senza contate che i numeri del Pd e di Forza Italia al Senato sono assai risicati, e quindi i partitini hanno più potere di interdizione, e che non c'è il contingentamento dei tempi. Ma il premier non è particolarmente preoccupato dal fronte interno: al Senato non c'è l'arma di ricatto del voto segreto, con cui la minoranza Pd ha ostacolato il disegno renziano. Gli oppositori dovrebbero venire allo scoperto, e difficilmente lo faranno. «Con il voto palese, il gruppo Pd resterà compatto: passeranno solo le modifiche concordate tra noi e Forza Italia», prevede il senatore dei «giovani turchi» Stefano Esposito.

Che non vede grandi spazi neppure per la battaglia sull'introduzione delle preferenze, evitata a Montecitorio per una manciata di voti: «Io, che pure sono uno strenuo sostenitore delle preferenze, dico che piuttosto che introdurle come si è tentato di fare alla Camera è meglio bocciarle: con il sistema di riparto nazionale dell'Italicum c'è il rischio di restar fuori anche se ne prendi tante». La previsione che fanno in molti è che non ci saranno barricate sull'Italicum, perché il vero terreno di battaglia sarà la riforma del Senato. Sulla quale il governo ancora tiene le carte coperte.

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