Più imprenditori e meno "travet": è la metamorfosi del lavoratore

Uno studio di Bankitalia descrive i cambiamenti nelle professioni negli ultimi anni. Sono aumentate quelle ad alto livello tecnico, a scapito di quelle non qualificate

Più imprenditori e meno "travet":  è la metamorfosi del lavoratore

Roma - È un’Italia meno operaia e meno travet quella del Duemila. Un’Italia che vede accrescere le opportunità di lavoro per le professioni imprenditoriali e ad alto livello di qualifica e diminuire i lavori mediamente o poco qualificati. Lo racconta uno studio di Bankitalia curato da Elisabetta Olivieri, che analizza il cambiamento del mercato del lavoro in Italia dal 1993 al 2009. Sedici anni che hanno profondamente trasformato la struttura occupazionale nel nostro Paese.
Il fenomeno a cui si è assistito dagli anni Novanta in poi non è solo italiano. Negli Stati Uniti, dove tutto si manifesta in anticipo rispetto all’Europa, quasi vent’anni fa si iniziò a teorizzare un processo di polarizzazione del mercato del lavoro, con un pronunciato calo delle assunzioni nelle occupazioni a media qualifica che erano stato il flucro del boom economico del dopoguerra; e un corrispondente aumento delle occupazioni poco qualificate (nei fast food, nelle imprese di pulizia, nei servizi alla persona) e soprattutto di quelle molto qualificate.
Il processo si è riprodotto pochi anni dopo in Italia, con qualche peculiarità nostrana. I dati Eurostat che calcolano l’incidenza del numero di ore complessive lavorate in una determinata professione rispetto al totale generale tra il 1993 e il 2009 registrano la diminuzione della quota delle professioni qualificate nelle attività commerciali (-6,2 per cento), degli artigiani e degli operai (-5,9), degli impiegati d’ufficio (-2,0), degli insegnanti (-1,5) e l’aumento di imprenditori (+7,4 per cento), in particolare quelli di imprese medie e piccole (+6,2) e di professionisti ad alto tasso di formazione: scienziati (+3,9), professioni tecniche (+6,3).
Numeri che fanno parlare, più che di polarizzazione verso gli estremi, di upgrading, ovvero di spinta verso l’alto. In realtà scomponendo l’analisi di Eurostat in due periodi, si nota che nel primo, quello che va dal 1993 al 2000, cresce molto la domanda delle professioni considerate «alte» mentre diminuisce quella per le occupazioni medie e basse; mentre nel secondo periodo, quello più vicino a noi che va dal 2000 al 2009, la crescita di ore lavorate nelle professioni qualificate resta alta, ma cresce anche quella relativa alle occupazioni più umili, mentre precipita la quota di lavoro medio. Quindi negli anni Novanta si è trattato di upgrading e nel secondo periodo di polarizzazione, con conseguenze estinzione dei travet. Una tendenza confermata anche dalle retribuzioni, che aumentano molto agli estremi e assai poco al centro. Cioè, un superlaureato o un manager (ma anche uno disposto a spazzare per terra o a cuocere hamburger) non solo trova più facilmente lavoro, ma vede aumentare il suo guadagno più di un impiegato.
Naturalmente sono diversi i fattori che hanno portato a una tale stilizzazione. Innanzitutto il vertiginoso progresso tecnologico degli ultimi anni che, applicato al mondo del lavoro, da un lato ha moltiplicato le opportunità per i lavoratori ad alto sapere e dall’altro ha svuotato alcune mansioni che, per la loro essenza ripetitiva e a scarso valore aggiunto, sono facilmente effettuabili da macchine peraltro sempre più economiche. Insomma, l’informatica fa bene soltanto a chi la sa cavalcare; per gli altri è un nemico.

Nell’altro emisfero del mondo del lavoro, quello dei calli e della fatica, pesano invece i potenti flussi migratori che hanno rimpolpato l’esercito di edili, conducenti, operai non specializzati. E tutto fa credere che tale dinamica sia orientata soprattutto dalla domanda di lavoro. Insomma, è il mercato a richiedere e a premiare sempre più scienziati, manager, imprenditori e sempre meno i Fantozzi.

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