Pm barbari, accaniti sul Cav malato

Guidici di Milano senza vergogna: visita fiscale a Berlusconi, in ospedale, per trascinarlo in aula. Lo sfogo del Cav: "Mi perseguitano, vogliono farmi fare la fine di Craxi"

Pm barbari, accaniti sul Cav malato

I lunghi corridoi del San Raffaele. Un piccolo capannello. Medici e infermieri che vogliono salutarlo. Il Cavaliere non si fa pregare: «Vogliono farmi fare la fine di Craxi». Ha appena saputo ed è di umore nero. Dopo lo sfregio della visita fiscale, disposta nella mattinata, ora ecco il secondo schiaffo: no al legittimo impedimento. Si sente umiliato, l'hanno trattato come quei dipendenti furbastri che accentuano un malore per non andare in ufficio. Un mezzo pasticcio, sul filo del cavillo burocratico, e intanto gli occhi fanno male.
«Vogliono farmi fare la fine di Craxi - ripete - vogliono farmi scappare». Sono passati tanti anni, ma si può tentare un'analogia fra le due storie. Bettino aveva i suoi medici di fiducia al San Raffaele, proprio come Berlusconi. Poi, fra un mandato di cattura e l'altro, se ne andò ad Hammamet, fu operato in condizioni difficili a Tunisi da Patrizio Rigatti, l'urologo inviatogli da don Verzè. Morì latitante. Latitante con un funerale di Stato. Una soluzione all'italiana, ipocrita e dolorosa.

Berlusconi sente che stanno spingendo anche lui giù dal precipizio. La condanna a un anno per la pubblicazione dell'intercettazione Fassino-Consorte, un unicum senza precedenti; le battute finali del dibattimento su Ruby e l'appello Mediaset. Con il rischio incombente di un finale traumatico: persino la decadenza da parlamentare.
Siamo su un piano inclinato. E a distanza di tanto tempo, ritornano dal pozzo della memoria frammenti di scene già viste con il leader socialista. Non siamo a quel punto, non ancora, ma lui individua un disegno preciso: «Mi perseguitano, ho speso un patrimonio per i miei avvocati e pensare che fino al '94, alla discesa in campo, non avevo avuto alcun guaio».

È vestito di blu il Cavaliere: pantaloni morbidi, polo e golf a proteggerlo da una giornata a tratti autunnale, scarpe da ginnastica e, naturalmente, occhiali da sole per riparare gli occhi affaticati. Dopo la notte trascorsa nel reparto di oculistica, in una stanza spartana con due letti, ora c'è il trasferimento in un'altra ala del complesso fondato da don Verzè: il settore Q, quello in cui vengono ospitati i pazienti che pagano in proprio.

Berlusconi non si ferma più e ne ha anche per Grillo: «È una persona cattiva, non sa cosa sia l'amicizia e ve lo dico io che lo conosco bene perché frequentavo, come lui, il mondo dello spettacolo. Adesso - aggiunge l'ex premier -voglio mettermi a studiare Hitler perché discorsi di Grillo sono come quelli del Führer. Dicono le stesse cose».
Al piano terra, intanto, Alberto Zangrillo, il suo medico personale, e Francesco Bandello, il primario di oculistica, parlano ai giornalisti. «L'uveite bilaterale non è guarita», ripete Bandello. «La terapia iniziata 24 ore fa, quando Berlusconi è arrivato qua, ha dato qualche risultato, ma non quelli sperati. Specialmente all'occhio sinistro. E l'uveite - aggiunge il professore - può avere conseguenze irreversibili». Un cronista, malizioso, chiede quanti siano i malati ricoverati per quella patologia e allora Bandello emette la sua sentenza: «Io credo sia necessario che il presidente Berlusconi rimanga qui in cura, almeno fino a domani (oggi, ndr)».

C'è imbarazzo, forse anche un filo di incredulità per la parte che il duo Zangrillo-Bandello è costretto a recitare: due luminari la cui autorità viene messa in discussione dal tribunale. Il controllo con un consulto a quattro - i due, più il medico legale e l'oculista spediti dai giudici - il tentativo di far quadrare il cerchio con un pizzico di buonsenso. Ma a volte l'ovvio annega davanti alle rigidità del sistema giudiziario. Il punto non è la malattia su cui alla fine tutti e quattro, anzi cinque conteggiando anche il perito di parte, sono d'accordo. La diagnosi è la stessa e anzi si scopre che in piena bagarre elettorale l'uveite aveva già colpito: il Cavaliere era stato dieci ore in ospedale, a Roma, poi contro il parere dei dottori aveva firmato ed era uscito.

Il problema è che i giudici hanno posto un quesito che si conficca come uno spillo nel cuore delle nostre convulsioni politiche: l'impedimento è assoluto oppure no? In altre parole, la malattia è così pesante da impedire al Cavaliere uno spostamento teorico fino in tribunale? Zangrillo non ci gira intorno: «Io posso prendere un paziente in circolazione extracorporea e spedirlo in aula». Bandello, sempre più seccato, è ancora più esplicito: «Anche un trapiantato da tre giorni in teoria può andare in tribunale». E in pratica? Alla magistratura basta la teoria.

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