«Il pm non poteva spiare il Colle». E la procura interroga Violante

Trattativa Stato-mafia, Consulta orientata a dare ragione al Quirinale contro Ingroia. Relazione della Dia sul "patto"del ’93, l’ex deputato Pd finisce sotto torchio per due ore

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

La Consulta si prepara a dire due sì al Quirinale. Non solo per l'ammissibilità del ricorso il 19 settembre, ma anche dando ragione a Giorgio Napolitano sul conflitto di attribuzione sollevato contro la Procura di Palermo, che ha intercettato i suoi colloqui con l'ex ministro Nicola Mancino.
Dopo il via libera di mercoledì, che viene dato per scontato, i quindici giudici costituzionali entreranno nel merito della delicata vicenda ed entro la fine dell'anno dovrebbe arrivare la sentenza.

Le indiscrezioni che filtrano dal Palazzo della Consulta parlano di una stragrande maggioranza a favore della tesi sostenuta, per il presidente della Repubblica, dall'Avvocatura dello Stato: i pm non potevano spiare le conversazioni di Napolitano, anche se intercettate indirettamente sul telefono sotto controllo di Mancino, e ora non possono utilizzare i nastri anche se fossero (e già la Procura ha anticipato che non lo sarebbero) penalmente rilevanti nell'indagine sulla trattativa tra Stato e mafia. Devono subito distruggerli.
La Procura di Palermo, a incominciare dal capo Francesco Messineo e dall'aggiunto Antonio Ingroia, secondo queste anticipazioni uscirebbe sconfitta dal clamoroso braccio di ferro con il Quirinale. Un braccio di ferro che scuote e divide la sinistra, con un capo dello Stato dal passato Pd e un pm militante che proviene da Magistratura democratica come Ingroia, che incarna le battaglie delle correnti di sinistra per difendere lo strapotere degli inquirenti, a incominciare dall'uso senza troppi limiti delle intercettazioni. Stavolta, a vincere sarebbero le «istituzioni di sinistra» contro il «partito dei giudici», sostenuto dalla stessa parte politica. Si attende una sentenza «politica», mentre a Palermo i pm interrogano per 2 ore Luciano Violante che, da presidente della Commissione Antimafia, nel 1993 chiese e ottenne dall'allora ministro dell'Interno Mancino una relazione della Dia in cui si parlava di pactum scelleris tra politici e mafiosi dopo le stragi.

Il presidente della Corte costituzionale Alfonso Quaranta, il cui mandato scade a gennaio, ci tiene a gestire fino in fondo e bene il conflitto d'attribuzione. Per questo il verdetto dovrà arrivare entro dicembre, mentre a Palermo rimane congelata l'udienza davanti al gip per decidere se acquisire agli atti o distruggere le conversazioni di Napolitano. Per garantire un'immagine di imparzialità e facilitare un accordo tra le diverse componenti della Consulta, Quaranta ha nominato già dalla fase dell'ammissibilità due relatori scelti dal parlamento: Gaetano Silvestri, per il centrosinistra e Giuseppe Frigo per il centrodestra. Nel collegio sarebbero ben pochi (e anche quelli restii a mettersi contro il Quirinale) a propendere per le tesi della Procura, secondo la quale nessuna norma della Costituzione impedisce l'intercettazione indiretta del capo dello Stato e l'uso giudiziario delle conversazioni.

L'unica concessione, nella sentenza, potrebbe riguardare l'obbligo di interruzione immediata delle intercettazioni, appena accertato che parla l'inquilino del Quirinale. Ma il no sarebbe categorico sull'uso delle telefonate nell'indagine e nel processo e sulla necessità della distruzione.

Sul sì della Corte Costituzionale all'ammissibilità del ricorso non ci sarebbero dubbi: «fondati» i presupposti soggettivi e oggettivi: che cioè il presidente della Repubblica sia un «potere dello Stato» e così il pm e che siano in discussione l'articolo 90 della Costituzione e le leggi sulle prerogative del Capo dello Stato, l'ampiezza della sua immunità e le procedure in caso di intercettazione «indiretta».

Diversi costituzionalisti hanno spiegato che il ricorso ha basi solide. Quanto al merito, spiega Michele Ainis, la decisione sarà di diritto, ma anche «politica», sull'opportunità e le ricadute legate al ruolo del capo dello Stato.

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