Da politici e sindacati cautela sulle mosse future della Fiat

Monti è soddisfatto, ma politici e sindacati sono cauti. Bersani: "Il problema resta aperto". Cicchitto: "Dialogare con i sindacati". E Casini: "Contrario agli incentivi"

È soddisfatto il presidente del Consiglio Mario Monti quando dopo una maratona di oltre cinque ore saluta i vertici del Lingotto, Sergio Marchionne e John Elkann. Soddisfatto perché, spiegano fonti vicine a Palazzo Chigi, la "forte preoccupazione" espressa all’inizio dell’incontro per il futuro della Fiat in Italia viene - almeno in parte - ridimensionata dalle rassicurazioni dell’ad e del presidente dell’azienda torinese. Eppure, a guardare bene, sembra proprio che il premier sia l'unico a sentirsi rassicurato dall'incontro fiume di eiri sera. Politici, sindacati e parti sociali non si sbilanciano ma fanno capire nettamente che i risultati ottenuti non sono certo quelli sperati.

"Sono ottimista per definizione ma ho il timore che il vertice non produca risultati concreti", ha commentato ieri sera il leader della Uil Luigi Angeletti convinto che "non ci sia nessun bisogno di dare sostegni pubblici, cosa che per altro è vietata in Europa". "Semplicemente bisogna fare quello che il governo deve fare per tutte le imprese - ha concluso - ridurre le tasse sugli investimenti e finanziare la ricerca". Secondo il responsabile Auto della Fiom Giorgio Airaudo, infatti, il governo avrebbe dovuto chiedere ai vertici del Lingotto di "impegnarsi su quattro punti: i prodotti, gli investimenti, i tempi e l’occupazione". Più ottimista, invece, il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni che ha promosso la volontà di Marchionne di puntare sull’export in attesa che si riprenda il mercato interno: "Questa è una strada giusta in un momento difficile della nostra economia, in cui il governo e le parti sociali dovranno stipulare un patto sociale per far ripartire la crescita, i salari e i consumi". Tuttavia, il numero uno della Cisl ha invitato la Fiat a continuare a "investire sulla ricerca, sulla qualità e sulla innovazione di prodotto in tutti gli stabilimenti italiani, a cominciare da Torino, dove si possono produrre subito nuove auto per il mercato internazionale, come a Grugliasco con la Maserati".

Anche la politica ha accolto tiepida la nota congiunta scritta ieri sera da Monti e da Marchionne. Rigettando lo scontro diretto, il capogruppo alla Camera del Pdl Fabrizio Cicchitto ha invitato la Fiat a riprendere il dialogo con i sindacati e ha espresso l'auspicio che "prima o poi l’impresa spieghi qual è il progetto sostitutivo rispetto a quello denominato Fabbrica Italia". Ieri sera i vertici del Lingotto hanno detto chiaramente al governo che, finché il mercato dell'auto non sarà uscito dalla recessione, il colosso torinese non farà altri investimenti nel Belpaese. Una chiusura che, però, non ha una dead line. Profondamente pessimista è, senza alcun dubbio, il Partito democratico. "Nonostante gli sforzi del governo, mi pare che il problema Fiat rimanga del tutto aperto - ha commentato il leader del Pd, Pier Luigi Bersani - al tavolo di ieri c’era un convitato di pietra e cioè una nuova stagione di ammortizzatori sociali costosi per i lavoratori e per lo stato, senza una prospettiva sicura". Secondo Stefano Fassina, infatti, l'incontro "non ha dato risposte" ai problemi tanto che gli impegni sono "talmente generici" da risultare "inadeguati" a garantire il futuro. Anche il leader centrista Pier Ferdinando Casini ha fatto sapere di essere preoccupato ribadend, comunque, un netto "no" agli incentivi.

"La Fiat adempia agli impegni che aveva preannunciato - ha spiegato - questa è serietà. Non si può chiedere ai politici e riservarsi parti in commedia. Lo Stato ha fatto bene ad aiutare, abbiamo già dato, ora dia la Fiat".

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