Pompei continua a crollare ma Napolitano stavolta tace

Altri casi di cedimento nel sito archeologico: dal Colle in giù nessuno si indigna. Nel 2010 fu il pretesto per chiedere la testa di Bondi e tentare la spallata al Cav

Pompei continua a crollare ma Napolitano stavolta tace

Roma - In Italia anche i crolli dei beni archeologici hanno un colore. Possono essere politicamente corretti oppure no. La lotta politica, nel Paese di Machiavelli e Togliatti macina senza troppi complimenti monumenti e persone. Un saggio di come la pratica dei due pesi e due misure non sia mai morta arriva dal crollo (per la verità più di uno) che domenica ha danneggiato Pompei. Una decina di giorni fa sono venuti giù stucchi nella Domus e si sono aperti squarci nelle mura delle Terme. Domenica notte è toccato a una bottega in via Stabiana. Crollata anche una parte di intonaco della Casa della Fontana piccola. Il sito archeologico più famoso d'Italia continua a consumarsi. E questa non è una notizia nel Paese che preferisce assumere operai forestali che investire in cultura.
La novità sono le reazioni suscitate dagli ultimi collassi. Questa volta indignazione ai minimi e per il ministro ai Beni Culturali Massimo Bray nemmeno mezza citazione. Silenzio anche dal Quirinale. Non sarebbe una notizia nemmeno questa, se nel 2010 lo stesso Giorgio Napolitano non avesse riservato un trattamento molto diverso al ministro di allora, Sandro Bondi. Dopo un crollo, del tutto simile a quello di domenica, dalla Presidenza della Repubblica uscì un comunicato pesantissimo. Eccolo: «Quello che è accaduto a Pompei dobbiamo, tutti, sentirlo come una vergogna per l'Italia. E chi ha da dare spiegazioni non si sottragga al dovere di darle al più presto e senza ipocrisie».
Chiaro il riferimento a Bondi, che ieri ha dato la sua versione dei fatti. «Da quella vibrante indignazione di Napolitano - ha ricordato l'esponente di Forza Italia - partì una barbara caccia all'uomo che si concluse con la presentazione di una mozione di sfiducia individuale, primi firmatari Bersani, Casini e Fini. Furono le prime prove della spallata a Berlusconi».
Fino a ieri sera dal capo dello Stato nemmeno una riga. Nessun riferimento, nemmeno implicito, al ministro Bray. Nessuna reazione nemmeno dal Partito democratico (partito di Bray) che su Bondi e il crollo del 2010 montò una polemica che durò una decina di giorni e sfociò in una mozione di sfiducia contro il ministro che, secondo il Pd, si era «dimostrato inadeguato al ruolo conferitogli».
La sinistra italiana di tradizione togliattiana si muove per il potere. La mozione di sfiducia era una prova di forza politica, per una nuova maggioranza, tanto che si accodarono anche l'Udc e il Fli. Bondì incasso la fiducia del Parlamento e più tardi si dimise. Tra le istituzioni che si mossero allora, anche la Commissione Europea che, tramite un portavoce, si disse «rattristata e scioccata». Ieri, nemmeno mezza lacrima da Bruxelles.

Unici commenti di centrosinistra, quelli dello stesso ministro che ha annunciato la nomina, entro il 9 dicembre, del direttore del progetto Grande Pompei, necessario a ricevere i finanziamenti Ue. Poi ha annunciato i lavori per il ripristino del muro. Lo fece anche Bondi, ma a lui non bastò.

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