Cronache

Ma quanto è indigesto il grillismo gastronomico

Basta con le recensioni fai da te che impazzano in rete: arrivano le regole giuste per giudicare locali e piatti. Che cucinano senza pietà chi critica senza sapere

Ma quanto è indigesto il grillismo gastronomico

Roberta Schira è una donna d'ordine, un po' maestra un po' mistress, e ha deciso di mettere in riga la critica gastronomica. Con un libro dal titolo quasi relativista (Mangiato bene?) ma dal sottotitolo del tutto assolutista (Le 7 regole per riconoscere la buona cucina).

Purtroppo fallirà nel suo intento perché il nemico dispone di forze soverchianti. Da una parte, dalla parte alta del campo della critica, è attestata la potente Guida Michelin che i criteri li ha ma non li dice, dall'altra, mentre dalla parte bassa avanza il prepotente TripAdvisor che i criteri non li ha o almeno così sembra alla Schira: «In TripAdvisor dilaga la non-regola, la soggettività più assoluta, è un contesto in cui tutti possono dire tutto, e spesso mantenendo l'anonimato».

A me sembra diversamente, credo che il recensore medio di TripAdvisor, sito che è il grillismo, il gentecomunismo, l'anticastismo fatto critica gastronomica, una regola ce l'abbia e che sia la seguente: «Mangiare molto e spendere poco». É un inquietante ritorno agli Anni Cinquanta, all'Italia prima del boom economico nella quale l'obiettivo prioritario (allora del tutto ragionevole, visto che si usciva dalla fame della guerra) era riempirsi la pancia.

Roberta Schira, donna del nostro tempo e quindi molto attenta alla bilancia («sempre lottando per non superare la taglia 46»), al ristorante non va certo per rimpinzarsi. Ci va per criticare, diamine, e Mangiato bene? lo ha scritto per dire che la critica non è alla portata di tutti e che prima di criticare bisogna studiare, magari proprio le sue sette regole. Chi vuole conoscerne i dettagli leggerà il libro, gli altri sappiano che sono incentrate su sette parole: Ingredienti, Tecnica, Genio, Equilibrio, Atmosfera, Progetto, Valore.

La prima regola impone qualità e freschezza dei cibi e potrebbe apparire ovvia ma non lo è per nulla perché «per fare i piatti freschi al momento ci vuole personale». Siccome il personale costa, questa regola dovrebbe far capire anche ai testoni come non sia possibile, in un locale che non sia una pizzeria al taglio, mangiare bene e spendere poco.

La seconda regola impone di saper cucinare, altra apparente ovvietà, ma cucinare non è solo spignattare ma anche, ad esempio, tagliare o spiumare: «Essere cuochi significa ricevere in regalo un fagiano e sapere da che parte cominciare. Giovani cuochi appena usciti dall'istituto alberghiero non hanno mai visto aprire un'ostrica». Giovani cuochi a parte, a me piacerebbe vedere un cuoco vip, un telecuoco, alle prese con un'anguilla intera (non con i filetti di anguilla forniti dall'industria): sarà capace di spellarla? Sarò maligno ma ho qualche dubbio.

Le altre regole sono tutte molto condivisibili, salvo la terza e la sesta. Dai poveri cuochi l'esigentissima Schira reclama addirittura il Genio. Quando è lei stessa a citare il critico letterario Harold Bloom secondo il quale «genio è colui che produce opere destinate all'immortalità», definizione crudelmente perfetta che esclude dalla categoria il 99% degli chef in circolazione.

La regola numero 6 richiede che ogni ristorante abbia un Progetto e fin qui sono d'accordo, è pieno di posti senza passato né futuro, con liste dei piatti compilate a casaccio, poi però mi avvedo che la critica cremasca dà al termine un'accezione faziosa facendo proprie le parole della cuoca olandese Margot Janse: «Credo che oggi per uno chef sia fondamentale l'impegno sociale». Dio me ne scampi e liberi! La politica nel piatto, quella no e poi no. Io voglio che un ristorante abbia il progetto di farmi scordare per due o tre ore i problemi là fuori, non di ricordarmi la povertà, la malattia, l'immigrazione a ogni portata.

A parte questa piccola sbandata sinistrorsa, evviva Roberta Schira e il suo coraggio molto destro di dire che non si può giudicare senza sapere e che, se non si sa, è meglio stare zitti.

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