Lo sport è passione. Ma la passione è una medaglia con il rovescio. Dopo gli applausi, i successi e le medaglie (quelle vere, di bronzo, argento e oro), viene la passione «cattiva», la via crucis. Vengono la sofferenza, la malattia, la morte. Di fronte a quegli avversari, come tutti i normali, anche i grandi campioni perdono. L'importante è perdere in piedi, anche se sei da anni su un lettino e i tuoi compagni e avversari ti portano in giro parlando dei bei tempi andati. Stefano Borgonovo ha perso in piedi anche se era sdraiato dalla «stronza», come la chiamava lui.
E Ali? Dove potevi trovare più potenza, più sicurezza, più arroganza vitale, se non nelle sue danze sul ring e nei suoi pugni? Lui sta ancora facendo a botte con uno «stronzo»: il morbo di Parkinson. Quando lo vedevi ciondolare con qualcuno che lo teneva per mano come fosse un bambino ripensavi alla notte di Kinshasa, 30 ottobre 1974, quando a combattere contro quella furia di Foreman c'eri anche tu ragazzino, perché ti eri alzato con tuo papà (portato via da un altro genere di «stronzo»). E pensi che Ali, per il semplice fatto di resistere, di ciondolare, ha fatto molto, senza far niente, per tutti i malati del mondo.
E Ambrogio Fogar? L'uomo dei mari si spacca la seconda vertebra cervicale in mezzo alla terra secca del Turkmenistan. E da lì in poi deve navigare a vista. Poche parole e confuse per dire a tutti che l'ultimo approdo è ancora lontano. C'è tanto da fare e da dire, magari alzando soltanto un sopracciglio. Anche lui, come Ali, ha incarnato, senza più il ciuffo ribelle e i baffetti che la sapevano lunga, il senso dello sport, che alla fine è solo il senso dell'onorevole sconfitta.
E poi i tanti caduti sul fronte di un gioco in cui, se bari con il doping, il Nemico ti viene a vedere le carte prendendosela comoda.
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