Quel male nascosto in uomini perbene

L' omicidio di Yara Gambirasio e quello perpetuato ai danni della moglie e dei figli da Carlo Lissi hanno riempito le pagine dei giornali per tutta la settimana. Sembravano due uomini perbene, due padri di famiglia, eppure hanno ucciso in nome del piacere. Massimo Bossetti continua a dirsi innocente ma la prova del dna sembra inchiodarlo. Ha perso la testa per una ragazzina. Lissi ha fatto l'amore con la madre dei suoi bambini un secondo prima di accoltellarla, con l'idea che se fosse tornato single, la collega, di cui si era invaghito, non l'avrebbe più rifiutato. Leggiamo i particolari delle storie per capire i motivi di queste persone che rappresentano i lati imponderabili della personalità umana.
Speriamo si riveli l'origine del male, non soltanto per evitarlo ma perché rimane un mistero su cui vorremmo chiarezza. Sembravano perbene. Dal bene può scaturire il male? Vorremmo sapere se è un germe che si portavano dentro sin dalla nascita o se può infettare chiunque in qualsiasi momento della vita. Saremmo mai capaci di arrivare a tanto? La domanda corretta da porsi non è se fossero perbene ma se stessero bene. Carlo Lissi stava bene? Possiamo condannarlo all'ergastolo, parlane male evocando il suo cinismo e la sua mancanza di umanità, ma un fatto incontestabile rimane: non era in grado di discernere il significato e il valore dell'atto che stava compiendo e le conseguenze morali e giuridiche cui si risponde sterminando la propria famiglia senza pietà. Per dirla in termini giuridici non era in grado di intendere né di volere. Voleva riconquistare la libertà e si è assicurato l'antitesi, la galera a vita. Il piano di Lissi non era studiato a tavolino e non aveva progettato la fuga. Il suo obiettivo primario era sbarazzarsi di quella moglie e con lei di tutta la loro storia familiare, a costo di marcire a vita dietro le sbarre. Non era un paranoico che nel suo delirio si era convinto che la famiglia lo perseguitasse.
Questi uomini soffrivano di un disturbo mentale transitorio. Vivevano in uno stato emotivo tale da divenire del tutto irrazionali. Quelle passioni travolgenti avevano impegnato tutta la loro attività mentale, nella loro realtà psicologica non erano in grado di autodeterminarsi, hanno ucciso degli innocenti e rovinato definitivamente le loro vite, ma l'articolo 90 del codice penale specifica che gli stati emotivi e passionali non escludono l'imputabilità, perché gli individui sani di mente devono esercitare il controllo sui propri istinti.


E sarà giusto che paghino la loro pena, altrimenti ogni delitto impulsivo, generato da una passionalità pervasiva, che riduce la capacita di intendere e di volere, rimarrebbe impunito.
karenrubin67@hotmail.com

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