Era già chiaro nel 400 ad Aristotele che scriveva: se hai un problema e c'è la soluzione di che ti preoccupi? Se non c'è la soluzione di che ti preoccupi? Panta rei. E invece, di fronte ad un evento negativo, triboliamo, ci disperiamo e ci deprimiamo, elucubrando pensieri negativi che si calamiteranno intorno all'evento ingigantendo il problema.
Facciamo un esempio: il nostro coniuge ci ha lasciato. Avvertiamo il senso del distacco, abbiamo nostalgia. Poi consideriamo che la realtà senza di lui è diversa da come la vorremmo e invece di elaborare il lutto per la perdita per poi andare oltre cominciamo a ragionare sul perché ci ha lasciato, producendo una serie di pensieri negativi che aggraveranno il nostro umore: ci ha lasciato perché ha preferito un'altra persona più attraente di noi, resteremo soli per il resto della nostra vita, non riusciremo mai più ad essere felici. Ci getteremo in uno stato di prostrazione da cui sarà molto difficile uscire anche quando di quella perdita non soffriremo più. Lla soluzione al problema esiste. Si chiama mindfulness o pratica di «consapevolezza» e oggi viene integrata efficacemente nella terapia della depressione in alcuni modelli di psicoterapia. Ha la sua origine nella meditazione buddista e insegna a discriminare il problema reale dal pensiero negativo prodotto di conseguenza. Sono depresso per la perdita di colui che amo o sono preoccupato per l'eventualità di rimanere da solo per il resto della vita? Se riesco a riconoscere che questo rimuginio è sterile, non predittivo, finirò di deprimermi e guarderò in un'altra direzione. I punti da osservare sono semplici e apparentemente banali. Abbandonare il pensiero ciclico. Pensare ad altro. Magari a qualcosa di positivo ed energetico. Non pensiero astratto ma concentrazione sull'azione, sull'esperienza che si sta vivendo nell'immediatezza.
Il pensiero ossessivo che ci accompagna ci distrae da ciò che facciamo. Si può fare un esperimento, per esempio una doccia «consapevole».
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