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La Rai sciopera contro i tagli. È l'ultima trincea antirenziana

Il governo conferma la "cura dimagrante" da 150 milioni e la tv pubblica protesta. Intanto, stangata sul passaporto: il bollo passa da 40 a 73 euro

La Rai sciopera contro i tagli. È l'ultima trincea antirenziana

Dopo avergli dato una mano a stravincere le elezioni (lo scontro sui tagli a Ballarò con un Floris che sembrava la Camusso di Viale Mazzini ha fruttato al premier un bel po' di consensi), i dipendenti Rai si accingono a far lievitare ancora la popolarità di Matteo Renzi. Scendendo in piazza contro la spending review che «tocca anche a voi», come disse quella volta Renzi. Certo, non si era mai visto (neanche ai tempi d'oro di Berlusconi e degli «editti di Sofia») una serrata della Rai contro Palazzo Chigi, ma evidentemente essere toccati nel portafoglio è stato troppo: i più indignati e pronti alla pugna, raccontano, sono direttori e dirigenti apicali che si vedranno decurtati gli stipendi. Ieri il viceministro dell'Economia Enrico Morando non ha fatto alcuna concessione alla potente lobby Rai, spiegando che il governo vuol tenere duro: «Il taglio di 150 milioni alla Rai, previsto dall'articolo 21 del decreto Irpef, resta». Apriti cielo: i sindacati dei dipendenti Rai, giornalisti inclusi, scendono in piazza contro il governo. E annunciano per l'11 giugno (mentre Renzi sarà in viaggio di Stato tra Vietnam e Cina, perdendosi lo spettacolo) una grande mobilitazione con annesso sciopero anti-governo: «Indicare in Raiway e nelle sedi regionali - affermano i sindacati - i luoghi verso cui operare vendite o riduzioni significa far morire la Rai e compromettere il rinnovo della concessione per il servizio pubblico». Replicano con durezza i parlamentari Pd Michele Anzaldi e Andrea Marcucci: «La Rai, che conta oltre dieci direzioni giornalistiche, 13mila dipendenti e 600 dirigenti, di cui 58 che guadagnano più di 200mila euro annui, è stata chiamata a contribuire al taglio delle tasse come tutte le altre strutture dello Stato. La mobilitazione del sindacato, dopo il silenzio su assunzioni selvagge di manager esterni e inchieste su sprechi milionari, è decisamente singolare».

Il premier non sembra granché preoccupato dalle mobilitazioni Rai. Di scarso impatto, di fronte alla fittissima agenda che il governo sta mettendo a punto, e sulla quale Renzi ha fatto un giro di orizzonte con i ministri convocati a Palazzo Chigi: Orlando, Franceschini, Madia, Padoan, Lupi (che potrebbe presto lasciare il dicastero), Guidi. E anche presidente e ad della Cassa depositi e prestiti, Bassanini e Tempini, interlocutori essenziali (spiegano da Palazzo Chigi) per quel «rinascimento industriale» di cui il governo vorrebbe farsi promotore, a partire non solo dal pagamento dei debiti con le imprese, ma anche da casi limite, e spesso citati da Renzi, come l'Ilva di Taranto o il Sulcis. E non è un caso che Renzi, dopo aver disertato la kermesse romana di Confindustria, si prepari ad andare il 18 giugno all'assemblea degli industriali di Vicenza e Verona, nel cuore di quel Nordest che gli ha tributato un imprevisto successo elettorale. Ma l'impeto riformista del premier deve fare i conti con l'ostruzionismo del Parlamento: la riforma del Senato ha subito un nuovo stop, a causa del ricatto della Lega, che si batte per il mantenimento dello status dei senatori e che minaccia un'ondata di emendamenti. Mentre il decreto Irpef è bloccato in commissione da Ncd.

In compenso, ieri è passato un emendamento Pd che ha quasi raddoppiato (da 40 a 73 euro) la tassa di concessione del passaporto. Da sinistra però arriva l'apertura di Sel: «Siamo pronti a incoraggiare Renzi se vuole usare il grande consenso ottenuto per scardinare il nuovo muro di Berlino, il muro dell'austerità», annuncia Nichi Vendola.

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