Politica

Reddito di cittadinanza Occhio ai fannulloni

Siamo sicuri che sia questo il modello da seguire in una società come la nostra, dove le stesse radici cattoliche inducono più all’autorganizzazione sociale che alla logica rigore individuale-intervento statale?

Italia ha oggi grandi opportunità: l’apertura di una nuova fase costituente per uno Stato all’altezza degli interessi della nazione, una gestione dell’emergenza incombente con la sensibilità politica e sociale che non possono avere gli esecutivi tecnici, una trattativa in Europa gestita da politici fortemente legittimati dal voto. Certo, un governo di grande coalizione comporta rischi tanto più di fronte a un forte movimento di disordinata protesta come quello grillino. È dunque urgente surrogare la dialettica tra maggioranza e opposizione «normali» (naturale rimedio degli errori di governo e Parlamento), con una sistematica attenzione alle radici culturali dei problemi in discussione. Si prenda la questione del «reddito di cittadinanza». Anche al di là delle enormi risorse richieste si analizzi bene l’esempio più efficiente di questa tipologia d’intervento: quello danese. Funziona perché in quella società è applicato grazie anche a un movimento sindacale che sorveglia non solo il soddisfacimen­to dei diritti ma anche l’assunzione dei doveri con particolare attenzione a chi bara su occupazione, assenteismo e simili. L’intervento dello Stato è sostenuto da una moralità civica non priva di spietatezza con annessi casi di isolamento e disperazione sociali.
Siamo sicuri che sia questo il modello da seguire in una società come la nostra, dove le stesse radici cattoliche inducono più all’autorganizzazione sociale che alla logica rigore individuale-intervento statale? Con tutti i difetti i sistemi di protezione sociale basati sulla cassa integrazione e su enti bilaterali sindacati dei lavoratori e datoriali hanno sinora attenuato in modo significativo i drammi della crisi.
È ragionevole smantellarli per inseguire un modello astratto o non è meglio riflettere sul senso mutualistico e non statalistico di queste esperienze per qualificarle ed estenderle? Dove si è riusciti a collegare pubblico, privato, università e volontariato come nelle sanità lombarda e veneta innanzi tutto, si sono raggiunti livelli invidiati in tutto il mondo, dove piccole e medie imprese tra distretti e banche cooperative hanno fatto sistema, sono arrivati risultati economici sorprendenti. Certo se la centralità della famiglia diventa familismo, l’autorganizzazione professionale corporativismo, la solidarietà spreco sociale si avviano processi di degenerazione. Ma, se si governano le dinamiche negative, è anche vero che famiglia, associazionismo professionale e solidarietà sociale sono fattori che hanno difeso la popolazione meglio di quanto hanno fatto certe pur lodatissime competitività anglosassoni. Il problema sta essenzialmente nello Stato: se questo è in messo in grado di esercitare un ruolo di liberazione delle energie (tra le quali famiglia e associazionismo sono fondamentali) offrendo mete, risorse e norme chiare e definite, il nostro «vituperato» modello macchiato secondo tanti illuminati dall’assenza della riforma protestante, diventa efficacissimo.

Dai liberi comuni, in poi.

Commenti