L a verità è che i migliori balli, i più seducenti, finiscono con il casqué. Figura del tango nella quale un cavaliere in avanti regge la dama piegata all'indietro. E figura retorica, piuttosto metaforica dei passi indiavolati di ieri, nella quale il Pd balla, il governo traballa, il Quirinale s'imballa.
La giornata del primo cavaliere - variante italiana, perché qui al momento sono in due a spartirsi la sella - finisce in televisione, alle Invasioni barbariche, dove Matteo Renzi annuncia finalmente l'incontro con il Cavaliere titolare, Silvio Berlusconi, oggi alle 16 nella sede del Pd, al Nazareno. «Non so se ci sia già stato, so che nella stanza del segretario c'è un quadro con Che Guevara e Fidel Castro che giocano a golf...», ghigna davanti alla Daria Bignardi che l'intervista. Dov'è lo scandalo? «Dopo vent'anni di figuracce siamo a un bivio: o la classe politica romana organizza un bel suicidio di massa o facciamo le riforme - rintuzza il leader pidì -. Le riforme si fanno con l'opposizione: regole chiare e stringenti, per evitare poi di fare governi insieme. E sono sicuro che se si fa un accordo vero tra Pd e Forza Italia, anche Alfano potrebbe starci...». Tutta l'insurrezione della minoranza pidina e degli alleati di governo che aveva animato la giornata provando a «mettere i bastoni fra le ruote» finisce così in un attimo a gambe all'aria: tra un D'Attorre («Non dico D'Attorre chi?, altrimenti si dimette pure lui») e un Quagliariello («un signore che è stato sempre aiutato da Berlusconi, un ministro delle Riforme che non vuole farle, le riforme»), il sindaco fiorentino liquida le questioni spinose in poche battute fulminanti e sguardi compiacenti (e compiaciuti).
Rimandare rimandare rimandare, spiega ancora Renzi, «ormai mi fa venire il sangue alla testa». Il suo messaggio è semplice, anche in vista del sistema spagnolo che piace anche a Berlusconi: «Dobbiamo dire basta al ricatto dei partitini». Tanto per non farsi mancare niente, Matteo cita ad esempio l'ex premier Monti, «arrivato quarto alle elezioni, con un partito già scisso in due partiti del due virgola qualcosa, che già vuole mettere bocca su tutto... L'Italia c'è morta, su questa cosa qua».
«Siamo alle comiche», aveva commentato con stizza D'Alema l'altro ieri prima di abbandonare la direzione. Ma ieri mattina, il segretario reduce dall'ennesimo duello tartufesco con Enrico Letta, comunicava via tweet di esser pronto alla pugna: «Legge elettorale seria, via Senato e province, cambiare le regioni. Mi hanno votato per questo. Molti cercano di frenare. Ma io non mollo». Scaletta per l'agenda quotidiana, ma anche un grido di battaglia e quasi l'annuncio di un accordo fatto sulla legge elettorale con Berlusconi. Cosa che il partito, per l'ennesima volta nella sua storia, non riusciva né a capire né a digerire. Tanto da dibattersi come tarantolato. «Il Pd balla, uu come balla», comunicano a Renzi su Twitter. E lui: «Dici? A me non sembra. Abbiamo votato ieri, votiamo lunedì. E soprattutto abbiamo votato l'8 dicembre #lavoltabuona».
Nel pomeriggio la guerra intestina incrudeliva sempre più, rinfocolata da Palazzo Chigi che soffiava veline e insinuazioni sulle reali intenzioni renziane e sul voto anticipato alle porte. «Un'eventuale intesa con Berlusconi che esclude Ncd è una bomba sotto il governo, oltre che un dito nell'occhio ad Alfano. È senza voti, un bluff e difficilmente il Cavaliere concederà i suoi in cambio di niente», spiegava Francesco Russo, uno de i deputati più vicini a Letta. Nel frattempo la sollevazione della minoranza Pd trovava in Scelta civica e Ncd i naturali interlocutori, pronti a invocare un «urgente summit di maggioranza».
Ma il messaggio recapitato da Renzi a fine giornata era un hashtag dall'apparenza rassicurante per Letta: «Enrico stai sereno... Non voglio fregarti il posto». Ma poi quando è stato chiamato a decantarne una qualità, l'ha indicato come ottimo ministero degli Esteri. Matteo va in avanti, s'attende il casqué di Enrico di ora in ora.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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