Renzi cavalca lo spread basso: aiutino per gli 80 euro in busta

No ai tagli lineari di Padoan, ma il tasso sul debito in calo fa recuperare risorse. L'incontro riservato del premier dal Papa insieme alla moglie e ai figli

Renzi cavalca lo spread basso: aiutino per gli 80 euro in busta

La velocità è solo l'insieme dei punti che non afferri. Il caso di Matteo Renzi è di scuola, e fa temere che il suo andare avanti come «rullo compressore» possa tradursi fatalmente nel tanko da garage veneto: tonnellate d'acciaio per blindarlo, ma sterile in emissioni esplosive. Se questi sono i presupposti, bene fa Renzi a raccomandarsi l'anima in Vaticano - ieri la visita privata a Papa Francesco in auto di famiglia, moglie e figli al seguito. Specie se poco prima, a mezzodì, il premier s'era premurato di compiere un devoto inchino a San Giorgio del Colle. Senza dimenticare però la stazione precedente, quando s'è rinfrancato lo spirito di governo con Denis (Verdini); il quale santo non è, ma conosce Silvio (Berlusconi) e ne sa interpretare i picchi d'armonia. Eppure la pattuglia di governo non dorme serena. I conti che non tornano aleggeranno come fantasmi durante tutto un week end di lavoro extra necessario alla definizione del Def, da presentare martedì. Al di là delle chiacchiere, è questo il primo atto concreto nel quale la velocità di Renzi non può più coincidere con il gioco delle tre carte, alla ricerca di un (sempre) imprendibile «asso di denari». La copertura dei provvedimenti promessi dal premier non è certa, anche se possibile con quella che qualche avveduto economista già definisce «un po' di creatività contabile».

Nei fumi londinesi Matteo ha vantato una «copertura doppia» per lo sgravio dell'Irpef, i famosi 80 euro in busta paga per i redditi medio-bassi, da sventolare alla vigilia delle Europee. La cosa, se non certa, è plausibile per il complesso gioco che regola i rapporti economici con l'Unione europea. La nostra crescita, quest'anno all'1,1 per cento, calerà ancora nel 2015, attestandosi sullo 0,7-0,8 per cento. Rallentamento che, se non promette nulla di buono sul versante dell'occupazione, almeno consentirà di toccare (o forse sforare) la famosa soglia del 3 per cento deficit-Pil (come già fatto da Francia e Spagna). Da lì ci si attende almeno la metà dei miliardi (tra 6 e7) necessari. Ma è per gli altri, che il gioco si fa duro. Anche perché se il ministro Padoan pensava a «tagli lineari» alla spesa strutturale, il premier continua a non volere. Il segnale arriva dal presidente della commissione Bilancio della Camera, il renziano Boccia: «Con i tagli lineari, alla cieca, si innescherebbe una spirale deflattiva drammatica che metterebbe il Paese in ginocchio». Il rischio è grosso, e ha richiesto il tour de force di oggi e domani tra Palazzo Chigi e i tecnici del ministero di via XX Settembre. Lo spread sceso ieri a 162 punti aiuta, se non altro a rafforzare un'idea di solidità senza arrivare alla garanzia della «clausola di salvaguardia».

Renzi ha parlato chiaro: i soldi devono venir fuori in qualche modo, senza deprimere l'economia, anche perché su questo primo round è in ballo davvero quel minimo di credibilità (assai connessa alla speranza) che sta lanciando il premier nei sondaggi (e persino il Pd, ieri dato al 34%). Un «Forza Matteo» collettivo che resta però fragile, legato com'è ad almeno altre due condizioni, oltre a quella di reperire i soldi. La prima è che Berlusconi non faccia saltare il tavolo delle riforme e quindi quello del governo, pericolo che Renzi non vede del tutto fugato dopo l'incontro con Verdini. I malumori all'interno del Pd, con Chiti e la pattuglia dei senatori contrari alla frettolosa abolizione della Camera Alta, al confronto, sono trattati al rango dei capricci. La seconda, che Grillo non diventi il primo partito alle Europee. Per questo tra i due la tensione è ai massimi e Renzi ha già fatto sapere che «non si dimetterebbe», in un caso del genere.

È il motivo per cui il leader non ha voluto inserire il proprio nome nel simbolo del Pd, per non caricare di significato le Europee. Ma che il premier sia in campagna elettorale permanente si vede. Se il tempo dovesse volgere al brutto, neppure l'arma delle elezioni anticipate a febbraio viene esclusa. Con Italicum o senza, o la va o la spacchi.

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