Politica

Renzi come il Dio Saturno: tutti gli scaricati dal rottamatore

Uno ad uno, durante la sua continua ascesa alla politica nazionale, ha usato questo e quello a suo piacimento, salvo poi buttarlo via quando non gli serviva più

Renzi come il Dio Saturno: tutti gli scaricati dal rottamatore

Il Dio Saturno, essendogli stato profetizzato che uno dei suoi figli lo avrebbe soppiantato, era solito divorarli al momento stesso della loro nascita. E' l'immagine del famoso dipinto del pittore spagnolo Francisco Goya che fa venire in mente, pari pari, l'atteggiamento che il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, ha tenuto spesso e volentieri negli ultimi due anni, con molti dei suoi collaboratori.
Uno ad uno, durante la sua continua ascesa alla politica nazionale, ha usato questo e quello a suo piacimento, salvo poi buttarlo via quando non gli serviva più, o spostarlo come una pedina dove gli faceva più comodo o dove non gli dava fastidio.
Spirito vendicativo quello del rottamatore, che a furia di dirlo ha imparato proprio bene come si rottamano nemici e amici. Così negli anni ha scaricato molti dei suoi fedelissimi.
Era l'autunno del 2010: "Prossima fermata, Italia" alla Stazione Leopolda di Firenze. Allora Renzi si era innamorato dell'ex consigliere regionale della Lombardia, Pippo Civati, oggi deputato. Renzi e Civati "sposini" a braccetto pronti a prendersi il partito. Fianco a fianco introdussero gli ingredienti della formula magica della "rottamazione". Un'unica parola, secca, buona per tradurre un concetto (ma anche un sentimento) che viaggiava dentro e fuori il Partito democratico: fate posto. Ma la coppia più innovativa del Pd dura il tempo di una stagione. Renzi fa presto a sbarazzarsi di Civati. Le divergenze nacquero quando Renzi cominciò la sua inesorabile ascesa. La rottamazione, da movimento, ben presto diventò il biglietto da visita del sindaco di Firenze. Non c'era più bisogno di un altro come lui che poteva rubargli la scena. Un personalissimo salto di qualità che non piacque a Pippo, che più di un protagonista assoluto andava cercando una corrente pluralista per dare nuovo smalto al Pd. E così Renzi prese il treno, Civati, dopo qualche incomprensione di troppo, scese e rimase in stazione.
Autunno 2011, sempre Firenze, sempre stazione Leopolda. È la volta del Big Bang. Stavolta però Renzi è l'assoluto protagonista del palco. C'è sempre la rottamazione, ci sono i dinosauri da mandare in pensione. Non c'è Civati, che fa una piccola apparizione, più scomoda che comoda. Più che una réunion la formalizzazione di un divorzio annunciato a mezzo stampa. Da lì in poi le loro strade, politicamente parlando, non si sono più incrociate. Renzi si candida alla guida del Paese, passando per le primarie, Civati non lo appoggia. Renzi perde il giro ma si riprende la scena, Civati oltrepassa la soglia di Montecitorio. Renzi bacchetta Letta, Pippo bacchetta Matteo. Pippo è un duro: un destro al sindaco, uno al Pd. Sarà per questo che Renzi l'ha messo all'angolo?
Poi c'è, anzi meglio dire c'era, Giorgio Gori, lo spin doctor di Renzi. L'ex direttore di Canale 5 che si dimette da Magnolia e dal gruppo Zodiak tre giorni dopo il Big Bang (da lui stesso promosso) per seguire Renzi. Le cento idee per l'Italia decantate da Renzi sono uscite dal portatile di Gori medesimo. Ma la sua infatuazione per il rottamatore non si traduce in un successo. Si candida alle Politiche del 2013 ma alle primarie nel collegio di Bergamo arriva solo quarto e non viene eletto in Parlamento. Renzi fa spallucce.
Rottamato anche il suo braccio destro durante le campagna per primarie, l'uomo delle battute fulminanti contro Bersani e il suo staff. Roberto Reggi, ex sindaco di Piacenza è stato lasciato fuori dal listino blindato per il Parlamento. "Di sicuro Matteo ha accettato tutto ciò che gli ha imposto Bersani", ha detto. Bella riconoscenza.
Fuori dal Parlamento anche Marco Carrai, imprenditore di Greve in Chianti, abile nel raccogliere fondi, collettore di relazioni internazionali, uno degli organizzatori della cena milanese di Davide Serra. Ai tempi delle primarie gestiva la partita del fundraising insieme all'avvocato Alberto Bianchi, avvocato di Renzi, presidente della Fondazione Big Bang. Da allora più niente.
La nuova responsabile dell'ufficio stampa, era Antonella Madeo, giornalista della tv Youdem, scelta per i contatti con i veltroniani e poi lasciata a piedi.
Ma di figli divorati ce ne sono stati anche a Firenze. Nel gennaio 2012 cominciano i primi spostamenti di pedine nello scacchiere renziano. L'assessore alla cultura e contemporaneità del Comune, quel geniaccio di Giuliano da Empoli, economista, figlio dell'ex consigliere economico di Bettino Craxi, lascia la giunta comunale per andare a buttarsi a capofitto con Gori nel think tank dell'associazione Big Bang nata dopo l'appuntamento della Leopolda, nell'ottobre 2011. "A Giuliano da Empoli mi legano amicizia e stima", dice Renzi. Tanto che non viene nemmeno inserito nelle liste per il Parlamento. Da allora di lui si è perso il segnale radar. Pensa se non erano amici.
Stessa fine per Luigi De Siervo, direttore commerciale della Rai, anch'egli "figlio di" (suo padre Ugo fu presidente della Corte costituzionale), introdotto a Renzi dalla sorella Lucia che lavora nella segreteria del sindaco, è stato l'organizzatore e lo scenografo dei grandi eventi. Il portavoce è Marco Agnoletti, un tempo addetto stampa di Lapo Pistelli, il politico fiorentino che lanciò Renzi: il rottamatore gli faceva da assistente parlamentare al tempo della Dc e ora l'ha surclassato.
Sempre restando in Palazzo Vecchio, l'ultimo ad essere mollato dal sindaco è un altro ex amicone, Massimo Mattei, il suo super assessore alla Mobilità, cresciuto all'ombra di Renzi, prima in Provincia, dove è stato eletto nel 2004 (insieme al rottamatore) e anni dopo diventò presidente del Consiglio. Poi in Comune, assessore alla mobilità a cui nel tempo ha aggiunto le deleghe a infrastrutture, grandi opere, trasporto pubblico locale, manutenzioni e decoro. C'è chi garantisce che sia stato il sindaco a suggerirgli caldamente di lasciare subito l'assessorato dopo lo scandalo delle escort in Comune. Fuori un altro.
A questi vanno aggiunti l'amico pisano Enrico Letta, al quale il rottamatore vorrebbe segare le gambe prima della scadenza della legislatura nel 2018. La politica è spietata: Renzi e Letta sono molto simili. Sul piano ideologico sono uguali, e per questo motivo tendono a configgere.
Per non parlare dei suoi compagni di partito (si fa per dire) toscani: praticamente non va d'accordo con nessuno. Il governatore toscano, Enrico Rossi, non lo può vedere, idem per il nuovo presidente della Provincia dopo di lui, Andrea Barducci che lo definisce "aria fritta, fuffa e battute". Eppure Barducci, che in ufficio tiene la foto di Enrico Berlinguer accanto a quella di Giorgio Napolitano, è stato per cinque anni vice di Renzi, quando proprio la provincia lanciò il futuro rottamatore alla ribalta della politica locale. L'ex sindaco di Firenze ora europarlamentare del Pd, Leonardo Domenici, l'ha più volte attaccato per i suoi atteggiamenti da bullo nei confronti del partito.
Ma c'è anche l'altra faccia della medaglia. Quelli non scaricati, ma anzi graziati dal principino di Firenze, i simpatici al sindaco. I Renzi-boys, il "cerchio magico" del rottamatore, quei cinquanta che ha fatto entrare gratis in Parlamento. Del resto fu lui stesso a dirlo in un fuori onda su Radio 105 "in caso di sconfitta porterò un po' di amici miei in Parlamento". E così ha fatto.
D'altra parte quel vizio un po' democristiano alla raccomandazione Renzi ce l'ha sempre avuto. Basti pensare ai cento dipendenti assunti a chiamata diretta che corrispondono a circa 25 milioni di euro che oggi gravano sul bilancio del Comune di Firenze, e quindi sulle tasche dei fiorentini.
Un vero e proprio ufficio di collocamento, o per meglio dire un sistema efficace di clientelismo che ha permesso al sindaco in carica di assumere amici, parenti, ex dipendenti della provincia o semplicemente colleghi di partito trombati alle elezioni. O dipendenti della Florence Multimedia, la società partecipata dalla provincia di Firenze ai tempi in cui Renzi ne era presidente, creata appositamente per valorizzare l'immagine del rottamatore a spese della collettività.
E' la giocosa macchina da guerra di Renzi. Il capo in Transatlantico, e non solo, è Luca Lotti, classe 1982, che accompagna Matteo da quand'era segretario cittadino della Margherita, poi è stato suo segretario particolare in Provincia e in Comune, dove prima di essere catapultato a Montecitorio è stato nominato capo di gabinetto. A lui è affidato il compito della trattativa politica con le altre componenti del Pd e con i partiti: parlare con lui è come farlo direttamente con il rottamatore. Il nucleo dei Renzi-boys è formato da "fiorentini", anche se non tutti lo sono di nascita, come l'ex assessore al Comune di Scandicci Simona Bonafè, oggi deputata. L'equilibrio fra "fiorentini" e forestieri certe volte subisce forti scossoni, a causa di qualche gelosia; solo i primi, tra i quali l'ex vicesindaco e oggi deputato Dario Nardella (vicino a Enzo Cheli, Giuliano Amato e Vannino Chiti), sono titolati a essere considerati "renziani della prima ora". Bonafè invece è stata scelta da Renzi come volto televisivo, la risposta catodica alla bersaniana Alessandra Moretti. Era fra le tre coordinatrici della campagna di Renzi, insieme a Maria Elena Boschi (avvocatessa, consigliera giuridica del sindaco, classe 1981, anche lei oggi deputata) e Sara Biagiotti (da poco assessore in Palazzo Vecchio. Intellettuali chic, guru e professori. E' il sistema Renzi: pedine da spostare a piacimento.
E poi fa finta di litigare con tutti (Marchionne, D'Alema, Barca) salvo poi scambiarci grandi sorrisi, caffè e cene insieme. Gli unici con cui va sempre d'accordo sono cantanti (Jovanotti, Nannini), stilisti (Armani e Scervino), e attori (Benigni).

Fra personaggi dello spettacolo ci si intende.

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