Renzi: sintonia col Cav. E si prepara alla guerra con i dissidenti del Pd

Il segretario avverte i rivali interni: non c'è più spazio per alzare la voce. Già domani la legge elettorale sarà votata dalla direzione del partito

Renzi: sintonia col Cav. E si prepara alla guerra con i dissidenti del Pd

Bersani non lo sa: «Deve stare tranquillo» intimano i medici di Parma. Letta il Giovane «sta sereno»: gliel'ha consigliato con un tweet in diretta tivù lo stesso Matteo Renzi. Il quadro con il Che Guevara e Fidel Castro non può parlare e d'altronde, s'invelenisce il ministro Andrea Orlando, «io nella sede del Pd non l'ho mai visto». Si presume stia sereno pure lui, lo Spirito del Comunismo. Ma quello che accade sotto gli occhi inanimati della Rivoluzione cubana, all'interno della stanza del segretario del Pd al Nazareno, è a suo modo una rivoluzione. Piccola quanto si vuole, ma significativa. Tanto per stare al passo con i tempi, si dirà che l'hashtag della giornata sta in quel mantra che Renzi ripete per ben quattro volte, nella brevissima conferenza stampa che chiude la storica «prima volta» di Berlusconi nella sede degli ultimissimi eredi (assai sbiaditi e irriconoscibili, per la verità) del Comunismo mondiale. «Profondasintonia» è il ritornello che diventa subito tormentone sui siti e sui tweet dei malati di politica; «c'è una sintonia molto importante con Forza Italia», «abbiamo riscontrato una piena sintonia», Renzi cambia frase di continuo ma non tradisce la sostanza. O forse sì, è proprio quel che vuole far arrivare forte e chiaro agli ultimi resistenti del Pd. Prendete o lasciate, la porta è lì ed è aperta. La sostanza sta appunto in quella sintonia tra Matteo e Silvio, lo capirebbe ormai anche un bimbo cresciuto su Marte e capitombolato fin quaggiù per vedere, dopo vent'anni, una specie di annunciazione del miracolo: la riforma elettorale incardinata da Renzi in pochi giorni, alla faccia di tutte le crostate dalemiane e le astruserie veltroniane. «La grande riforma attesa da settant'anni», esagera l'enfant terrible fiorentino. Mai dire gatto se non ce l'hai nel sacco, però. Sempre che sia votata dalla Direzione del Pd nel pomeriggio di domani, e che riesca a indurre in tentazione Monti, Alfano e Mauro, si tratterà di introdurre un «ispanico corretto» per rafforzare i due grandi (Grillo, se continua a stare sulla riva del fiume, annegherà) e dar modo ai tre piccoli di salvare la cadrega. Non di aspirare però a qualcosa di più, visto che dovranno scegliere da che parte stare, con chi coalizzarsi. «Una legge elettorale che favorisca la governabilità, il bipolarismo ed elimini il ricatto dei piccoli partiti. Aperta al contributo di chi ci sta...», dice il sindaco (che in serata telefonerà subito ad Angelino, per rassicurarlo). Così Matteo corre a prendere il treno per Firenze, quando avrebbe potuto dormire benissimo a Roma. Se non fosse che avrebbe corso il rischio di una nuova nottata chiarificatrice con Letta che, a Palazzo Chigi, accoglie sbigottito il primo colpo vero del decisionismo renziano. Uppercut che se da un lato allunga la vita del governo, dall'altro imporrà qualche passaggio di ristrutturazione di pesi e contrappesi nell'esecutivo. Le riforme annunciate da Renzi, e sostenute da Forza Italia, andranno difatti a toccare anche la materia costituzionale con la revisione del titolo V e la trasformazione del Senato in Camera delle Autonomie.

Con il risultato di chiudere il «Mam» (Monti, Alfano e Mauro) in una camicia di forza. Dulcis in fundo, Matteo affonda un colpo decisivo nel ventre molle del Pd. Chi non ha peli sullo stomaco sufficienti, meglio che cambi minestra (e chef).

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