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Repubblica fabbrica fango poi incolpa il Cavaliere

Dopo lo scoop che ha imbarazzato il Quirinale il quotidiano di Ezio Mauro inventa la tesi di un complotto ordito da Berlusconi per andare subito al voto

Repubblica fabbrica fango poi incolpa il Cavaliere

La complottite è una malattia pericolosa che comporta spia­cevoli effetti collaterali. Uno è la perdita della memoria. Un altro è una sorta di labirintite, un disturbo dell’equilibrio che costringe a ondeg­giare. Il terzo è una tendenza patologi­ca al gioco delle tre carte. Situazione alquanto sgradevole. Per rendersene conto basta sfogliare Repubblica . Il giornale di Ezio Mauro dovrebbe esse­re tonico, rinfrancato dai tre giorni di Bologna carichi di idee, galvanizzato per l’asse con il capo del governo «scippato»ai concorrenti del Corriere della Sera.

Invece, che succede? Succede che proprio Repubblica dà per prima (onore al merito) la notizia delle pres­sioni di Nicola Mancino sul Quirinale perché ammorbidisca i magistrati di Palermo che indagano sulla presunta trattativa tra Stato e mafia negli anni delle stragi. Benché semioccultato a pagina 22 sull’edizione del 15 giugno scorso, l’articolo scatena il finimon­do. Ed è uno scoop degno di Repubbli­ca , tipico del suo stile, basato su inter­cettazioni telefoniche che non sareb­bero dovute uscire dagli uffici della procura siciliana. Brogliacci cui il go­verno Berlusconi voleva mettere il ba­vaglio con una legge che scandalizzò il Paese e contro la quale il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari aizzò una martellante campagna di stam­pa.

Nei giorni successivi Repubblica ha dedicato pagine e pagine al nuovo scandalo che coinvolge gli ultimi tre inquilini del Colle.Finché,l’altro gior­no, è lo stesso Giorgio Napolitano a condannare «la campagna di insinua­zioni e sospetti di alcuni giornali». A quel punto la complottite fa salire la febbre a largo Fochetti. Bisogna inne­scare la retromarcia senza darlo a in­tendere, e soprattutto senza rinuncia­re­a riempire le pagine di verbali e tra­scrizioni di telefonate compromet­tenti.

Un doppio binario dove è arduo mantenere l’equilibrio. Ora, dopo l’esternazione presidenziale,si rispol­vera la macchina del fango che «gioca allo sfascio», come si leggeva ieri in prima pagina. Carlo Galli scrive addi­rittura di «attentato alla democra­zia », se si dovesse giungere a «una cri­si che mini l’autorità e il prestigio del capo dello stato». Il dito accusatore è puntato contro una «troika»: il pm pa­lermitato Antonio Ingroia ( eroe quan­do indagava Berlusconi e Dell’Utri, eversore quando sfiora il Colle), l’ex pm Antonio Di Pietro e Beppe Grillo, campioni del «populismo isterico» e dell’«antipolitica generalizzata».

Accanto all’analisi di Galli, Repub­blica stampa un retroscena di Clau­dio Tito intitolato «Il bersaglio è il Qui­rinale». Chi sarebbe dunque il man­dante? Ai tre soggetti già individuati se ne aggiunge un quarto. L’ipotesi è che «dietro ci possa essere anche il tentativo di indebolire la più alta cari­ca dello stato per rendere più fragile il governo». E chi ha interesse a svigori­re Monti? Ma è chiaro: lui, Berlusco­ni, leader di «quel Pdl che in queste ore è tornato a sventolare la bandiera delle elezioni anticipate», il quale non nasconde «che il principale osta­colo alle urne è rappresentato, guar­da caso, dal Quirinale».

Insomma, Repubblica sforna la no­ti­zia dell’anno che danneggia il Quiri­nale, ma dopo aver incassato il cic­chetto del Colle vuol fare credere che è tutta una «manovra oscura» ordita dal Cavaliere che, come un buratti­naio, manovra quelle docili marionet­te notoriamente al suo servizio come Ingroia, Di Pietro, Grillo, Travaglio, le procure.

Repubblica mette in moto la mac­china del fango ma poi fa intendere che gli spargiletame sarebbero altri. Tutto questo, beninteso, mentre lo stesso giornale continua ad alimenta­re sospetti sui co­llaboratori di Napoli­tano pubblicandone le telefonate.

So­no gli esiti infausti delle contorsioni da complottite acuta.

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