Il risveglio choc del paese: "Era proprio uno di noi..."

Dopo anni di sospetti la scoperta che sconvolge Brembate: "Sì, ce lo ricordiamo Prendeva un caffè e via. Ora lo schifo che ha portato qui deve finire con lui"

Il risveglio choc del paese: "Era proprio uno di noi..."

nostro inviato a Brembate di Sopra (Bergamo)

Fa strano ripartire da dove tutto è cominciato. Fa strano ripartire da qui, da questo Palazzetto dello Sport che rappresenta l'ultimo domicilio conosciuto di Yara Gambirasio, prima dell'incontro fatale col suo assassino, quel 26 novembre del 2010. Ci sono bimbetti che sguazzano nell'acqua della piscina. Ci sono le «farfalline», come hanno battezzato, qui, le piccole atlete di ginnastica che hanno appena concluso i loro volteggi, guarda il caso proprio sotto la direzione di Keba, la sorella maggiore di Yara. Farfalline come Yara che, appena qualche anno maggiore di loro, sognava di volteggiare.
«Già, fa strano essere qui, pensando che Yara ha respirato quest'aria, questo clima d'amicizia, prima di finire nelle mani di quell'uomo. Uno che abita a cinque minuti da qui, altro che un balordo extracomunitario come pensavamo tutti, all'inizio», commenta, Milena Dolcini, una delle mamme che, dalle grandi vetrate, al primo piano del Palazzetto di via Locatelli, guarda suo figlio che sguazza nell'acqua gioioso. «Fa rabbia sapere che quell'individuo, quel padre di tre figli le abbia messo le mani addosso e l'abbia abbandonata in un campo a morire. Ma ora spero che faccia la fine che si merita, in galera», tuona Nando, il gestore del bar del Centro sportivo comunale.
Rabbia, altra rabbia, al Loto Cafè in via Sorte, non lontano dalla villetta della famiglia Gambirasio. Qui ci sono almeno un paio di clienti, oltre al titolare del bar, che si ricordano di aver intravisto quel Bossetti presentarsi al bancone. «Giusto per un caffè e poi via». Un ragazzotto sui diciotto è il più sicuro di tutti: «L'ho detto subito ieri, quando ho visto il tg, quel tizio di Mapello, quello lo conosco, si fermava spesso da queste parti. Con la faccia un po' suonata, si vantava di andare in giro con l'aliante, parcheggiava in fondo alla strada, vicino al campo». «A pensarci bene mi era parso un tipo strano, ma non avrei mai immaginato che potesse essere lui l'assassino. Speriamo che sia davvero lui. E che tutto questo schifo che ha inondato Brembate finisca con lui», dice un altro avventore. Poi la sconsolata conclusione del titolare del bar: «Fulvio, il papà di Yara, viene spesso qui, è una brava persona e non si merita tutto questo. Mi auguro che possa farsi coraggio». Iole Pesenti, una signora sui settant'anni che abita non lontano dai Gambirasio, è ferma sul marciapiede. A pensare, quasi a dedicare a quella casa un pensiero commosso. «Sapere che hanno trovato l'assassino di quella povera ragazzina ci fa tirare un sospiro di sollievo. Perché da quel giorno, di quasi quattro anni fa, la vita qui era cambiata. Noi nonni e genitori avevamo tutti più paura. Paura di sapere che c'era un assassino in libertà che avrebbe potuto colpire ancora. Tanto più, ammettiamolo - aggiunge - che avevamo avuto l'impressione che le indagini fossero talmente complicate che non si sarebbe mai potuto arrivare a dare un nome al killer».
Non ha mai parlato volentieri coi giornalisti, in questi tre anni e mezzo, don Corinno Scotti, il parroco di Brembate di Sopra. Ha organizzato fiaccolate, veglie di preghiera. È stato sempre vicino ai genitori di Yara, Maura e Fulvio, condividendone il dolore e lo sconcerto. Ma qualche parola riusciamo a fargliela dire: «Vede, quanto è accaduto, con quello che adesso sembra l'epilogo di questa tragedia, dovrebbe insegnarci qualcosa. Che non bisogna mai giudicare né fidarsi delle apparenze. E le apparenze, all'inizio di questa vicenda tristissima, avevano già condannato quel marocchino, quel Fikri. Adesso spero proprio che in paese non prevalgano sentimenti di vendetta». Quindici giorni fa, all'oratorio, hanno inaugurato un monumento a ricordo di Yara. «Che abbiamo voluto chiamare “Stele di luce” - aggiunge - perché questa vicenda, anche se è finita come è finita, deve essere ricordata nel modo giusto con la sguardo alla serenità. Perché, come dice il papà di Yara, l'unico modo per fare un regalo a Yara è diventare più buoni pensando a lei».


Una pattuglia dei vigili e una di carabinieri sbarrano ai cronisti l'ingresso di via Rampinelli, dove i Gambirasio abitano. Dove, sopra quella villetta al civico 48, resta una nube di tristezza e sgomento. E dove, ancora adesso, prima di parlare, il papà e la mamma di Yara vogliono certezze. Per cominciare il cammino della consolazione.

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