La rivolta dei produttori: basta con le bufale sulla nostra mozzarella

Che cosa hanno in comune la mozzarella e Moby Dick? Uno: il colore candido. Due: l'inafferrabilità. Lo dicono gli americani. O meglio, il giornalista del New York Times Sam Anderson, che ha definito il sontuoso latticino campano «la grande balena bianca dei formaggi». Tanti i capitani Achab che cercano di conquistarla oltreoceano. Tra questi il più «in fissa» è tale Craig Ramini, che ha lasciato un remunerativo impiego nella Silicon Valley per realizzare il sogno della sua vita: fare con le sue mani una mozzarella degna di cotanto nome. Per ora, malgrado gli sforzi, il risultato è deludente e il prezzo alto. L'umoroso Moby Dick stravince.
Eppure questo italianissimo oggetto del desiderio di tutto il mondo (anche in India ci sono sporadici tentativi di produrla con il latte delle tante immalicnonite bufale locali), in patria non se la passa troppo bene. Colpa del nostrano talento per la zappa sui piedi, che si appalesa nei continui attacchi mediatici che raccontano la bianca delizia di volta in volta come oggetto degli appetiti non solo gastrici della malavita organizzata o come frutto di contraffazioni da magliari. Qualche mese fa fu Roberto Saviano, in un articolo su Repubblica intitolato «Camorra Food Spa», a narrare dei traffici di latte vaccino di scarsa qualità proveniente da Paesi dell'Est gestiti dai clan per abbassare il prezzo della pregiatissima Mozzarella di bufala campana dop, che può originare soltanto da latte di bufale locali intero e fresco. Pochi giorni fa un altro attacco dal quotidiano di largo Fochetti: «Bufala connection» il titolo di un lungo servizio comparso sul Venerdì: una sfilza di scandali, inchieste, truffe con al centro il cosiddetto «oro bianco» all'ombra della camorra.
Insomma, chi ha paura della mozzarella? Questi articoli, con lo scopo di salvare un vanto del made in Campania, finiscono per contribuire al suo affossamento, mischiando un generico scandalismo a casi di cronaca di qualche anno fa. Anni in cui la mozzarella era un po' meno bianca. «È vero, in passato ci sono state molte leggerezze e non si è fatto quanto si sarebbe dovuto per tutelare il prodotto - ammette il direttore del Consorzio di tutela della Mozzarella di bufala campana dop, Antonio Lucisano -. Ma da due anni tutto è cambiato, siamo stati il primo consorzio a livello nazionale a dotarsi di un codice etico che ad esempio impone alle aziende di presentare ogni anno il certificato camerale antimafia».
Il consorzio sta anche collaborando attivamente con le forze dell'ordine (a partire dai Nas) per intensificare i controlli. E hanno studiato delle modifiche al disciplinare di produzione, ora sul tavolo del ministero dell'Agricoltura, che tra le altre cose impongono ai produttori di acquistare unicamente latte bufalino fresco proveniente da animali dell'area dop, che comprende le province di Caserta e Salerno (patrie queste delle due scuole principali di interpretazione della mozzarella: più equilibrata e delicata quella salernitana, più esplosiva quella casertana) e alcuni comuni delle province di Benevento e Napoli, del Basso Lazio, del Molise e della provincia di Foggia. Altra strada che sta percorrendo il consorzio è quella che dovrebbe portare al divieto per i produttori di Mozzarella di bufala campana dop di immettere sul mercato anche prodotti intermedi, come la mozzarella vaccina o quella di bufala non dop, che inducono in confusione il consumatore più sprovveduto.

Altro tema caldo, su cui si è accesa la polemica, la possibilità per i trasformatori di congelare il caglio in eccesso prodotto nella bassa stagione invernale per utilizzarlo in estate, quando c'è il picco del consumo. «Ma il via libera all'utilizzo di latte congelato per la mozzarella dop non ci sarà mai», garantisce Lucisano. E buona mozzarella a tutti.

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