Andrea G. Pinketts, le pare attendibile questa tesi sul nesso fra birra e civiltà?
«Senza dubbio, e mi piace testimoniarla con la storia di Noè, che dopo avere raggiunto la terraferma, costruisce per prima cosa un altare dedicato a Dio, e subito dopo pianta una vigna. In pratica l'uomo delle caverne si trasforma in un uomo delle taverne».
Perché la taverna o l'osteria?
«Perché sono i luoghi di socializzazione per eccellenza. In questi ambiti sono nati capolavori, sono state organizzate le rivoluzioni, movimenti di ogni genere».
Ne parla nel suo ultimo libro.
«Che si intitola non a caso Mi piace il bar».
Per lo psichiatra Khan ancora oggi abbiamo bisogno di birra.
«Sono assolutamente d'accordo».
Quando, però, l'assunzione di alcol diviene problematica?
«Quando una persona non sa gestire il proprio bere, quando si diventa violenti o l'alcol diviene un rifugio dal resto del mondo. Anziché uscire, si rientra nella caverna del proprio inconscio malato».
Jack London ha scritto un bellissimo libro sull'alcol intitolato «John Barleycorn».
«E ne parlo abbondantemente anche nel mio ultimo lavoro. Il suo rapporto con l'alcol era quello che caratterizzò molti altri grandi scrittori. Colossali opere, partorite da epiche bevute».
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