Saviano dal boom al dramma: "Sopravvivo a psicofarmaci"

La confessione dello scrittore napoletano al quotidiano spagnolo El País: "Gomorra mi ha rovinato. Non valeva la pena sottoporsi a questo calvario"

Saviano dal boom al dramma: "Sopravvivo a psicofarmaci"

Accidenti se è dura. Otto anni dopo l'inebriante successo di Gomorra, i numeri di Roberto Saviano non sono più quelli di un fenomeno mondiale. L'exploit è finito, anche se la notorietà a vita è ormai garantita, ma lo scrittore non ne vuol sapere di rientrare nella normalità. E cerca, come lui stesso ha confessato in un'intervista a El Paìs rilanciata dal Mattino, una scorciatoia per tenere a pieni giri il personaggio che ha divorato la sua persona. Insomma, è sull'orlo del cratere senza fondo della depressione. «A volte - è la confessione choc - mi domando se finirò in un ospedale psichiatrico. Sul serio. Già adesso ho bisogno di psicofarmaci per andare avanti e non era mai accaduto prima. E questa cosa non mi piace per nulla. Per questo spero che prima o poi finisca».

Tempi duri, dunque, per l'icona dell'antimafia. Gomorra lo consacrò e lo consegnò, lui giovane sconosciuto, a un successo senza confini. E a vendite strabilianti: di Gomorra sono state vendute 10 milioni di copie. Cifre incredibili per il mercato italiano. Saviano è diventato immediatamente un'etichetta, una stella sul bavero, un simbolo. Difficile, molto difficile sopravvivere a quella trasformazione del cognome in un brand acclamato in tutto il mondo. Una vita stravolta, l'incubo degli attentati, e poi le prime difficoltà nella routine: le accuse, sempre più insistenti, di plagio. O meglio, la scoperta che alcune riflessioni non erano farina del suo sacco, ma il risultato di un uso spregiudicato del metodo copia e incolla. Simone Di Meo, collaboratore del Giornale, ha dato la pratica a un pool di avvocati e Saviano ha capito l'antifona: in corsa ha inserito nel suo bestseller una citazione della fonte stranamente dimenticata. Ancora, i giudici di Napoli l'hanno condannato a risarcire il giornalista con sessantamila euro per avergli «catturato» due articoli.

Sì, può essere davvero insopportabile veder sporcare la propria immagine pura e immacolata dentro le miserie di furbizie e meschinerie. La persona, quella vera, si allontana irrimediabilmente dal santino distribuito ai media e all'opinione pubblica. Saviano ha cercato di rilanciarsi con il suo secondo libro, ma Zero zero zero, un viaggio nella cocaina, non è stato all'altezza delle aspettative. Intendiamoci: il volume ha venduto 350mila copie, forse anche di più, dunque è stato uno dei più gettonati nell'Italia del 2013. Ma rispetto ai valori ineguagliabili di Gomorra, siano lontani anni luce.
Così ora si abbandona a cupe riflessioni, accreditandosi come un martire della verità: «Mi ha rovinato la vita. Non credo sia nobile aver distrutto la mia vita e quella delle persone che mi circondano per cercare la verità. Avrei potuto fare lo stesso, ma con prudenza, senza distruggere tutto. Invece sono stato impetuoso, ambizioso. Non valeva la pena sottoporsi a questo calvario».

La realtà quotidiana entra senza bussare nella vita dell'angelo della legalità e gli appesantisce le ali. Viene assolto l'ex capo della Mobile di Napoli Vittorio Pisani e subito i giornali scrivono: «Scagionato l'anti Saviano». Perché per Pisani la concessione della scorta allo scrittore non rispondeva ad alcuna necessità. Non c'era alcun pericolo, solo letteratura. Ma subito dopo queste spavalde affermazioni, Pisani era stato risucchiato in un'indagine in cui si sospettava che avesse tramato con la camorra. Falso. Pisani ritrova infine l'onore perduto e Saviano sprofonda ancora un po'. «Se anteponi un obiettivo - prosegue lui nel colloquio con El Paìs - la verità, la denuncia, a qualunque altra cosa della tua vita diventi un mostro. Un mostro». Saviano non è più una bandiera da sventolare e sente il piombo delle mille contraddizioni.

Ma non si arrende e contrattacca: «Non escludo che i soliti giornali del fango possano in futuro utilizzare questa notizia per darmi del matto». È la parabola dell'intellettuale: dal successo senza orizzonte all'alibi preventivo di futuri flop.

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