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Se il "pensionato borghese" è il nuovo nemico

Ecco il nuovo bersaglio dei tagli alla spesa pubblica

Se il "pensionato borghese" è il nuovo nemico

Se l'Italia fosse un'azienda privata, il malcapitato amministratore delegato uscirebbe di buon mattino con i libri contabili sottobraccio per sbolognare la pratica a un giudice fallimentare. Debito pubblico a 2.089 miliardi di euro, e va beh, troppo facile. E tante altre voci in rosso che fanno cascare le braccia: dal buco previdenziale Inps di 12 miliardi allo Stato prepotente che deve 100 miliardi ai fornitori privati.

Quando gli affari vanno male qualsiasi comunità, da quella politica a quella familiare, si butta a caccia del presunto privilegiato che per troppo tempo ha vissuto alle spalle di tutti, fischiettando con le mani in tasca. Ed ecco materializzarsi il nuovo bersaglio che per qualche settimana si attirerà inediti rancori, in attesa che faccia la «sua parte». Nessuno l'ha ancora ribattezzato, ma l'identikit è molto preciso: corrisponde a quello del «pensionato borghese». Stride accostare a una nuova figura sociale una terminologia vetusta e vagamente dispregiativa, soprattutto se letta da sinistra. Il «pensionato borghese» non è giovanissimo, ha almeno 65 anni, ha lavorato per decenni da dipendente sempre con stipendi sopra la media. Ed ora, lasciato il lavoro, campa con una pensione minima di 2.500 euro netti, ma spesso anche con molto di più.

È lui il nuovo parassita che nelle ultime settimane sbuca da ogni dibattito, da ogni spending review che sta divertendo gli italiani come un tema da bar sport. Da membri di governo al commissario Cottarelli, dai blog di sinistra ai talk show urlanti, persino con incursioni nella destra sociale in Parlamento, la formuletta viene scandita con sicurezza: contributo di solidarietà. Quasi che un vitalizio costruito su una carriera di vertice senza buchi previdenziali costituisca una colpa a posteriori, una sinecura insostenibile. E allora dàgli al «pensionato borghese» che non percepisce la minima e che non ha mai lavorato in fabbrica. Un brutto soggetto da assimilare alla peggiore casta, un ceffo da dare in pasto alle famiglie disperate che ogni tanto Santoro ospita in studio invitandole a mostrare i denti marci e mal curati come schiaffo ai benpensanti.

È curioso peraltro come questo contribuente aggiuntivo da tosare per sedare un'opinione pubblica tumultuante, sia anch'esso soggetto a epoche e mode. Negli anni '70, quando un italiano su tre votava il Partito comunista, l'odio sociale era verso il «ricco». Poi nei grassi anni'80 la tregua fu raggiunta verso l'«evasore», e qui tutti d'accordo. Per ripartire nelle ultime magre annate con le partite Iva, che a furor di popolo sanno solo scaricarsi la benzina e fare giochetti con le fatture. E a forza di erigere fantocci da impiccare, si arriva ad additare come ultimi «borghesi» dei signori a riposo a reddito fisso.

Guarda caso quelli senza la tessera Spi Cgil.

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