Se una ragazzina offre sesso in cambio di 2 euro

Una quattordicenne di Como, suggestionata dallo scandalo delle baby squillo, ha confuso realtà e fantasia

Como - Ai carabinieri ha raccontato una storia che pare la fotocopia dello scandalo delle baby escort dei Parioli: «I miei genitori mi costringevano a prostituirmi». Simile l'età, quattordici anni, simili i problemi a scuola, analoga alla vicenda romana che tanto ha fatto discutere, anche la fragilità che c'è dietro la storia emersa in un istituto superiore di Como. Protagonista è una studentessa che, come è successo a tanti e tante, è finita nel mirino delle canzonature, prese in giro pesanti, le ore di lezione trasformate in calvario. Un tipo di incubo che qualunque adolescente farebbe di tutto per troncare. E, stando alla ricostruzione del quotidiano locale, la Provincia di Como, la ragazza avrebbe cominciato a costruirsi un'immagine diversa di se stess, componendo pezzo a pezzo, un'invenzione dopo l'altra, tra fanfaronate e bugie, l'identikit di una ragazza spregiudicata, pronta a tutto. Ma che in realtà era pronta a tutto pur di piacere agli altri, pur di non essere più la «sfigata» del gruppo, quella che viene derisa. E naturalmente il suo sforzo ha finito per precipitarla in un vortice di menzogne che rischiava di rovinarle definitavamente la vita. Ai compagni di classe andava dicendo che lei era disposta a ogni tipo di eccesso, incluso fare sesso nei bagni a pagamento, dando a questa pratica un prezzo ridicolo quanto l'intera storia: due euro e cinquanta «a prestazione». Siamo lontani dalle somme choc chieste dalle ragazzine romane a ricchi professionisti dei quartieri beni, con la regia di interessati «supervisori». Qui la cifra, un'inezia, non c'entra con la «voglia di comprarsi abiti griffati», messa a verbale dalle adolescenti coinvolte nel sordido giro della capitale, qui i soldi non c'entrano, sono probabilmente solo un modo per provocare, per mostrarsi ancor più disposti a tutto, forti e decisi.

I compagni naturalmente non avevano affatto messo fine alle prese in giro e anzi avevano creato una pagina Facebook in cui la ragazzina compariva con tanto di faccia, di nome e cognome, e con le relative prese in giro e spavalderie sulla disponibilità sessuale. Proprio come succedeva nel finto profilo Facebook aperto da un'amica a nome dell'adolescente stuprata dal branco a Molfetta. Ma i punti di contatto con queste vicende finiscono qui perché, a differenza dei due casi che hanno occupato le cronache negli ultimi giorni, l'adolescente comasca non è arrivata a consumare i rapporti sessuali, dicono i suoi insegnanti che, dopo aver scoperto la faccenda, hanno attivato una consulenza psicologica, per aiutare la ragazza evidentemente vittima di un momento di particolare fragilità, e chiesto alla polizia di chiudere la pagina Facebook. Lei, alla polizia, ha raccontato che erano i genitori a farla prostituire, evidentemente ricalcando la storia romana appresa dai media. Ma pare che sia falso, che i genitori fossero inconsapevoli di quanto stava succedendo. Però i punti di contatto con queste vicende non paiono casuali: la storia di Como mostra che vicende così sono purtroppo da sempre presenti nella vita dei ragazzi, anche se per fortuna non sempre degenerano.

E qui una chiave di lettura potrebbe essere il ruolo degli adulti: grazie anche al web, per i grandi ora è più facile interagire con ragazzi in difficoltà, ignari di essere vicini a soglie pericolose. E indurli a superarle.

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