In attesa che sulla riforma del Senato si cominci a fare sul serio, e cioè a votare il testo vistato ieri dal Quirinale, la minoranza Pd prova a battere un colpo e a rovesciare il tavolo del governo, vagheggiando maggioranze alternative con Grillo.
Poi a sera Matteo Renzi suona la campanella di fine ricreazione: «Capisco l'ansia di visibilità e la necessità di dimostrare che si esiste lanciando ipotesi che non hanno alcuna possibilità di essere realizzate, ma sulle riforme non si può rimettere tutto in discussione, come se dopo 20 anni sia ammissibile ricominciare da capo».
Ieri mattina all'assemblea del gruppo Pd di Palazzo Madama rullavano minacciosi tamburi di guerra (più fuori che dentro, in verità). Guidati dall'animoso Corradino Mineo, i «dissidenti» che non vogliono la fine del bicameralismo e la non elettività dei senatori si sono fatti scudo del ddl alternativo a quello di Renzi, presentato da Vannino Chiti. «Noi non lo ritireremo: resta lì sul tavolo», annunciava impavido Mineo. Intanto il capogruppo dei Cinque Stelle lasciava intendere che, essendo il ddl Chiti «la fotocopia del nostro», c'era la disponibilità a votarlo. E pure il capogruppo di Fi Paolo Romani dava l'altolà: «Non è escluso che possiamo convergere sul testo Chiti, siamo anche noi per l'elettività».
La pattuglia dei «resistenti» Pd iniziava a sognare: «I numeri cominciano a diventare significativi, già noi siamo più di venti, e se poi anche Fi dovesse dire no al testo del governo mica lo so come si potrebbero mettere le cose», si slanciava Mineo. E Pippo Civati, da Montecitorio, subito dettava la linea: «A Palazzo Madama sul Senato elettivo c'è una maggioranza alternativa: Fi, Ncd, dissidenti grillini e stavolta, credo veramente, i 5 Stelle. Renzi rifletta, non può andare avanti a diktat». Il più navigato Chiti, pur difendendo il suo ddl, si guardava bene dall'immaginare improbabili maggioranze alternative sottobraccio a Berlusconi e Grillo: «La nostra intenzione non è di creare ostacoli alle riforme, né di farci strumentalizzare per battaglie contro il governo». Dalla maggioranza renziana, il senatore Giorgio Tonini sorride: «La benedizione pelosa dei grillini è stata il bacio della morte per il fronte Pd contrario alla riforma».
E infatti il sogno di Civati, Mineo, Casson e compagnia si è infranto nel pomeriggio: i Cinque stelle hanno informato che loro, comunque, non possono decidere nulla senza consultare «la rete» (e l'operazione, visto anche il ricovero di Casaleggio, potrebbe concludersi dopo l'approvazione della riforma di Renzi). Forza Italia è stata richiamata all'ordine dal Cavaliere, via Toti: «Non credo proprio che faremo maggioranza parallele con pezzi di Pd e di grillini. Abbiamo un impianto serio e vogliamo andare avanti su quella strada». A quel punto, i 25 promotori del primo manifesto dei dissidenti Pd han capito l'antifona e si sono riallineati: «Il punto di partenza non può che essere il testo approvato in maniera unanime dall'esecutivo», cui certo dovranno essere fatte «modifiche migliorative». Cosa che il governo è pronto a concedere con generosità, visto che - come sottolinea un senatore - «ha riempito il ddl di cose messe lì apposta per diventare oggetto di trattativa ed essere poi levate, accontentando le opposizioni».
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