Un urlo disperato. Un urlo che squarcia l'aria e poi le lacrime, irrefrenabili lacrime di dolore, di rabbia. Lacrime che gonfiano gli occhi e velano quel paesaggio desolante di abbandono in cui è piombata all'improvviso un'intera famiglia.
«Perché non l'avete fatto prima? Perché non l'avete chiamato prima?», ripete ossessivamente quella donna, quella moglie affranta, all'uomo ignaro che sta dall'altro capo del telefono.
Già perché non l'hanno chiamato prima, Salvatore, dal cantiere edile per offrirgli, di nuovo, un lavoro? Perché l'hanno fatto, inconsapevolmente, certo, e casualmente, purtroppo, solo e soltanto dopo che lui, Salvatore Bua, 53 anni, aveva già deciso di arrendersi alla vita e alla sorte trovando come unica via di uscita al suo stato di disagio e al suo sconforto per la perdita del lavoro, una trave a cui impiccarsi. Con un laccio stretto e stretto al suo collo, come quel dolore, quell'angoscia che da tempo lo soffocava.
Salvatore era un bravo manovale, uno che si era guadagnato il pane, nei suoi anni migliori, facendosi apprezzare e sudando sette camicie in Svizzera, dove si era spaccato la schiena nei cantieri per mandare qualche soldo a casa, a Gravina (Catania), ai suoi familiari. Lasciata la Svizzera aveva provato a ripartire quasi da zero tornando a lavorare dalle sue parti, sempre come muratore. Sempre con la stessa disponibilità a sobbarcarsi orari duri e trasferte altrettanto impegnative. Sempre con la stessa dignità dei suoi anni migliori, quelli in cui guadagnava bene. All'inizio le chiamate erano arrivate senza troppa difficoltà poi, a poco a poco, sono andate scemando tanto che, avant'ieri, quando la depressione lo ha sopraffatto, erano sei mesi che non lo cercava più nessuno. Sei mesi che aveva trascorso bussando invano a mille porte. Perché il mondo sembrava essersi definitivamente dimenticato di Salvatore e da sei mesi, quel muratore in gamba e volenteroso, non trovava più neppure sistemazioni saltuarie nemmeno un lavoretto di un paio di giorni.
Così ha deciso di farla finita e di suicidarsi nella sua abitazione impiccandosi a quella trave. Una scena agghiacciante, che si è trovata davanti, ieri mattina, sua moglie quando, al risveglio, ha scoperto il corpo senza vita del marito. Ora restano solo il dolore e la rabbia di una donna e dei loro tre figli, in quella casa di Gravina
E Salvatore Bua, è solo l'ultima vittima della crisi: negli ultimi dieci giorni si sono susseguite, quasi quotidianamente, notizie di lavoratori licenziati, imprenditori in crisi e disoccupati, gravati dai problemi economici, che hanno compiuto gesti estremi. Ricordiamo soltanto i più recenti. Il 14 maggio un imprenditore milanese, titolare di un'azienda di costruzioni, si è ucciso sparandosi un colpo di pistola alla testa dentro la sua auto, a Gignese, in provincia di Verbania, in una strada che conduce in un bosco. Sembra che l'uomo fosse preoccupato dal fatto che la propria azienda non versasse in una buona situazione ma sui motivi del gesto sono ancora in corso accertamenti.
L'11 maggio un altro imprenditore torinese di 72 anni, Mario Trombone, si è sparato un colpo di pistola alla testa nel suo ufficio nel centro di Torino.
Ricoverato all'ospedale Cto in condizioni disperate, è morto in serata. In un biglietto indirizzato alla famiglia aveva spiegato di sentirsi oramai oppresso dalla crisi economica e di non sapere più come andare avanti con la sua azienda di facchinaggio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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