Milano - Il 17 ottobre del 2000 fa fu una giornata cruciale per il chirurgo Marco Lanzetta e per la sua équipe. Rimasero in sala operatoria, al San Gerardo di Monza, per 13 ore consecutive e misero a segno il primo trapianto di mano in Italia. Un successo.
Tuttavia oggi, dopo 13 anni dall'intervento, Walter Visigalli, il paziente a cui fu impiantato l'arto, è stato costretto a un'amputazione. Troppo forte il dolore, troppi i rischi di setticemia. Quella mano che l'uomo, allora 35enne, aveva tanto sognato, negli anni è diventata fonte di dolorose ulcere, un incubo insopportabile. «A marzo sono cominciate le crisi di rigetto più intense - spiega la moglie, Pierangela Riboldi - Da quel momento è stato un massacro di cortisone ma il rigetto non si è fermato. Alla fine, il bivio era tra cancrena e setticemia».
È stata quindi inevitabile un'altra operazione, in anestesia locale, alla clinica milanese Columbus. Ora Visigalli «avrà dei colloqui con la psicologa perché dopo quasi 13 anni si deve abituare alla nuova realtà: ha un moncone che parte dal gomito». Presto però avrà anche una protesi su misura, probabilmente già entro la fine dell'estate.
«Dopo due episodi di rigetto molto importanti - spiega lo stesso chirurgo Marco Lanzetta - abbiamo deciso insieme (così come avevamo messo nel conto quando si fece il trapianto) che non era il caso di rischiare la vita e molto serenamente è stata asportata la mano».
Visigalli perse la mano quando aveva 22 anni, in un incidente. Dopo anni di rassegnazione, venne a sapere del «miracolo» di Lanzetta. Il chirurgo, che oggi è un nome di punta dell'istituto italiano di chirurgia della mano a Monza, nel 1998 aveva preso parte a Lione al primo trapianto di mano al mondo. Tuttavia il paziente che la ricevette, il neozelandese Clint Hallam, un anno dopo l'operazione smise di prendere i farmaci anti rigetto e fu assalito da dolori atroci. Da lì l'amputazione. Il caso italiano di Visigalli invece aveva riacceso le speranze di tutti: la sua reazione all'intervento era stata ottima. La riabilitazione lo aveva aiutato parecchio ed i sintomi del rigetto sembravano solo un'ombra passeggera e, tutto sommato, sopportabile. Fino agli ultimi due mesi, in cui la situazione è degenerata. Meglio levare tutto.
Vien da chiedersi se la natura abbia frenato e «rigettato» la scienza e i suoi progressi. Se in qualche modo abbia detto: «L'ultima parola ce l'ho io». Il guru della mano Lanzetta difende in ogni caso il suo capolavoro e sostiene non si tratti di un fallimento: «La vicenza - dichiara - ha comunque un epilogo positivo perché per tanti anni abbiamo permesso a Walter una vita piena, un lavoro e una progettualità senza particolari problemi legati alla terapia».
Per i medici si apre una fase nuova e inedita. «Dopo tutti questi anni - spiega Lanzetta - l'area della corteccia cerebrale collegata all'arto si è riattivata riportando segnali della mano nuova. Questo fenomeno potrà essere di grande aiuto per l'impianto di una protesi bionica che potrà essere applicata nei prossimi mesi».
Oltre al caso eccezionale di Visigalli, le sale operatorie del San Gerardo hanno ospitato anche un altro capolavoro della chirurgia. Nel 2010, il primario di chirurgia plastica e della mano Massimo Del Bene e la sua équipe hanno regalato due mani nuove a Carla Mari, casalinga di 52 anni a cui erano stati amputati tutti e quattro gli arti a causa di una grave infezione. Ad oggi la donna sta benone: usa entrambe le mani e poco tempo fa si è perfino cimentata in cucina per preparare biscotti al cioccolato da portare ai medici che l'hanno salvata.
La svolta anti rigetto? Le cellule staminali.
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