Le scuse sono arrivate con trent'anni di ritardo, ma sono arrivate. Meglio tardi che mai, recita un vecchio adagio. Rendiamo quindi onore a Diego Marmo, pubblico ministero nel processo che a Napoli condannò Enzo Tortora, in primo grado, a dieci anni di galera per spaccio e consumo di droga. La sua onestà intellettuale, molto lentamente, troppo lentamente, si è manifestata in un'intervista che egli ha rilasciato al Garantista, nuovo giornale di Piero Sansonetti, comunista sui generis, e persona perbene (rara avis, per rimanere nel latinorum, vizio imperdonabile della mia generazione i cui rimasugli giacciono nel carrello dei bolliti misti). Marmo riconosce l'errore che a me personalmente e a pochi altri balzò immediatamente agli occhi, dopo una sommaria lettura delle cosiddette carte.
Non la faccio lunga perché del caso Tortora si è discusso per anni, simbolo della fallacia di una giustizia vendicativa, torva e talvolta pressappochista. Marmo (nomen omen, avanti col latinorum) al tempo che fu era invece convinto che il signor Portobello, quello che andava in giro col pappagallo sulla spalla, fosse addirittura un cinico venditore di morte. Ullallà! I magistrati sono bravi ragazzi, ma se si fissano su un tizio, ci danno dentro per inchiodarlo. Cosicché il celebre Pm si impegnò per trovare sostegno ai propri sospetti, e li trovò. Dove? In mancanza di meglio si affidò ai pentiti di camorra, notoriamente gente saggia e affidabile. I quali non si ritrassero davanti alle richieste degli inquirenti desiderosi di incastrare - in buona fede, ovviamente - il personaggio televisivo. E se ne inventarono di ogni colore.
Pandico, un cialtrone, disquisì di centrini e persuase gli inquirenti che, per questioni di ricamo eseguito in carcere, il mefitico Enzo meritasse una punizione severa. Ma il più duro nell'intento ignobile di incastrare il sullodato presentatore, fu tale Melluso, che si inventò - salvo ritrattare - di avere recapitato in piazzale Loreto (poi corresse: piazzale Lotto, a Milano) una scatola di scarpe zeppa di cocaina. Quando? Il 5 maggio. Obiezione dei magistrati: come fai a ricordare tale data? Risposta: la poesia di Manzoni su Napoleone defunto. Gli credettero. Erano tutte balle. Tortora non fu sottoposto ad alcun esame per accertare se fosse drogato. Né gli controllarono i conti correnti per scoprire se comprasse e rivendesse polverina bianca allo scopo di arricchirsi. Non voglio annoiarvi con questi dettagli. Aggiungo solo che Melluso, nei giorni in cui avrebbe fornito coca a Enzo era detenuto nel carcere di massima sicurezza di Campobasso, quindi non poteva essere a Milano in piazzale Loreto né in piazzale Lotto.
In sintesi, zero prove. Solo congetture, teoremi, sciocchezza spacciate per verità, parola di pentiti. Quell'inchiesta abborracciata e un po' cretina non avrebbe avuto alcun clamore se tra gli arrestati, un esercito, non ci fosse stato il nome famoso di Tortora, che in terronia è assai diffuso. Un nome utile, utilissimo per attirare l'attenzione dei media e quindi del popolo sulla maxinchiesta. Quando la macchina dello sputtanamento fu avviata, nessuno poteva più fermarla. E Tortora - stando alle belve dei miei colleghi - passò per colpevole di infami reati. Per i quali fu condannato su richiesta dell'odierno reo confesso Diego Marmo. Che mi è pure simpatico, e che ora ha rivelato di avere preso un granchio pazzesco. L'ultima cosa che desidero fare è gloriarmi di essere stato una mosca bianca nel sostenere l'innocenza del signor pappagallo. Per l'amor di Dio. Ma scoprire che a distanza di trenta anni perfino il suo più acerrimo accusatore ammette di aver cannato, mi rincuora. Segno che gli uomini della giustizia sono capaci - raramente - di dire la verità su se stessi: e cioè che spesso lavorano a capocchia. Bravo Marmo. Se però ti svegliavi un attimo prima saremmo stati più contenti.
Adesso ci viene un dubbio. Che riguarda Berlusconi Silvio da Arcore. Non sarà che fra sei lustri - diconsi trenta anni - anche coloro che oggi si accaniscono contro di lui riveleranno di avere un filo esagerato nel perseguirlo per aver (forse) scopato una ragazza, Ruby, la quale afferma di non essere stata affatto scopata dall'orco? E che magari aggiungeranno che in effetti il Cavaliere non si macchiò del reato di concussione, visto che non si è ancora rintracciato il concusso?
Questa è la realtà. Nessun dubbio che a Berlusconi piaccia la gnocca. A chi non piace? Nessun dubbio che egli abbia telefonato in questura per sapere se Ruby potesse essere consegnata alla signora Minetti anziché alle strutture pubbliche, ma come si fa a sostenere che ciò configuri il reato di concussione? Che orrore.
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