Il silenzio assordante dei magistrati: Ingroia è isolato

Il silenzio assordante dei magistrati: Ingroia è isolato

RomaIl silenzio assordante che segue alle critiche fatte sabato da Piero Grasso ad Antonio Ingroia è un segnale che nella magistratura qualcosa sta cambiando. Il modello della toga barricadera non paga più, lo si è visto alle ultime elezioni dell’Anm e anche la corrente del pm, Magistratura democratica, veste i panni della moderazione.
Uno spettacolo impensabile fino a pochi anni fa: il procuratore aggiunto di Palermo rimane isolato sulle sue posizioni oltranziste di impegno «partigiano», mentre anche ieri il capo della Procura nazionale antimafia ribadiva: «Un magistrato, oltre a essere autonomo e indipendente, deve apparire autonomo e indipendente agli occhi dei cittadini. Le tendenze politiche di un magistrato non si devono conoscere, per non influenzare la sua attività».
Il giorno prima, alla trasmissione di Radio24 La Zanzara Grasso l’aveva accusato di «far politica utilizzando la sua funzione», ammonendo: «Deve scegliere. E per me è tagliatissimo per fare politica». Si riferiva alla partecipazione di Ingroia al congresso del Pdci, quando disse di non poter essere imparziale verso alcune forze che cercano di introdurre «privilegi e immunità», ma di sentirsi «partigiano» della Costituzione. Frasi stigmatizzate come «inopportune» a febbraio dal Csm che, pur archiviando la richiesta di trasferimento d’ufficio per incompatibilità, trasmise gli atti alla commissione per la valutazione di professionalità e gli incarichi direttivi. Ingroia non ne uscì bene e si capì che la sinistra giudiziaria l’aveva scaricato. A metà marzo arrivò la conferma quando a Palazzo de’ Marescialli tutti solidarizzarono con il Pg della Cassazione Iacoviello, attaccato da Ingroia per la requisitoria sul caso Dell’Utri. Al dibattito organizzato da «Addiopizzo», ieri Grasso ha chiarito di non voler fare polemiche personali, ma ha insistito: «Ho dichiarato che è un ottimo magistrato e che secondo me sarebbe stato anche tagliato per la politica, tutto qui. Poi mi hanno chiesto: “Andrebbe a un congresso di partito?” e da magistrato in servizio ho detto no».
Il modello Grasso e il modello Ingroia, insomma, sono contrapposti. E, né dall’Anm né dalle correnti si alza una voce in difesa del militante in toga che ama i palchi congressuali come le piazze televisive santoriane. Anzi, il segretario di Md Piergiorgio Morosini polemizza con Grasso per la frase sul premio antimafia a Berlusconi, ma non accenna neppure a Ingroia. Si vede che la posizione del superprocuratore è quella della stragrande maggioranza delle toghe e anche chi non la condivide sa che in questo momento è meglio tacere. Grasso, d’altronde, la stima se l’è guadagnata sul campo e non certo grazie alle correnti. Pur provenendo dall’altra corrente di sinistra, Movimento per la giustizia, se n’è distaccato guadagnandoci in autorevolezza e autonomia di giudizio. Lo ha dimostrato prima con la gestione dal 1999 della procura palermitana, che in più occasioni (come nel caso Cuffaro) l’ha visto contrapporsi alla sinistra giudiziaria, poi con il salto nel 2005 alla Dna dopo l’estromissione dal concorso per una controversa norma sui limiti d’età di un padre nobile di Md, Giancarlo Caselli, anche lui ex procuratore a Palermo.

Fu poi riconfermato all’unanimità dal Csm. «Fra poco finirà il mio incarico di procuratore - dice - per questo cerco di realizzare i desideri o le utopie di uomini che oggi non ci sono più e ci mancano da 20 anni, come Falcone e Borsellino».

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