nostro inviato a Cernobbio (Como)
La pioggia ieri non ha smesso un attimo di cadere. Forse è stato un contrappasso, anche se meteorologico, per il cosiddetto «partito di Cernobbio», ossia il gruppo di manager e banchieri che accorrono due volte all'anno a Villa d'Este per ascoltare le «previsioni del tempo» dell'economia. E, mentre nello scorso settembre splendeva il sole e lasciava presagire un futuro radioso per il governo targato Mario Monti, ieri - in un certo senso - si è preso atto di quella che è stata una brutta sconfitta elettorale.
Il «figlioccio» del Workshop Ambrosetti, il Professore, è diventato quasi un figliastro. Quasi nessuno se ne ricorda più, lo sguardo è gia rivolto altrove: il flop di Scelta Civica ha fatto capire ai «cernobbiesi» che le teorie sono una cosa e il consenso popolare un'altra.
Troppo poco, però, per affermare che questo parterre de roi (peraltro non particolarmente numeroso) stia pensando di uscire di scena. L'evoluzione del quadro politico porterà cambiamenti, anche se non saranno rapidissimi. «Sono stati presentati dei dati macroeconomici: l'Asia cresce, gli Stati Uniti crescono, l'Italia va malissimo con 45mila imprese chiuse e 500mila posti di lavoro persi nel settore delle costruzioni», riassume Manfredi Lefebvre d'Ovidio, armatore e presidente di Silversea. E quindi? «L'intenzione è quella di aspettare le elezioni tedesche e poi chiedere alla Germania di attenuare l'enfasi rigorista, altrimenti l'Europa muore».
Dal Monti «portavoce» di Merkel e dei mercati si è già passati al dopo-Merkel, alla richiesta di una politica più vicina alla crescita. «Si è cercato un po' di mettere la testa sotto la sabbia», commenta sarcastico Maurizio De Tilla, presidente dell'Associazione nazionale degli avvocati. «Dopo aver sostenuto le ragioni dell'austerity, ora ci si comporta come se nulla fosse», conclude.
Certo, il «partito di Cernobbio» è un'entità astratta, disomogenea e non omologabile né a una lobby né a una formazione politica vera e propria. Quindi, la visione e i pareri non sono univoci. Ad esempio, Sandro De Poli, presidente e ad di General Electric Italia è tranquillo. La multinazionale americana «non ha intenzione di andarsene dall'Italia, lo scenario non è drammatico e siamo certi che ci sarà un governo stabile che poi è quello che serve». Il capo di Banca Sistema, Gianluca Garbi vede più probabile un esecutivo di transizione «della durata di 12-18 mesi, giusto per fare la nuova legge elettorale». In fondo, aggiunge, «i Btp non sono crollati e la Borsa ha retto sia perché gli investitori sanno che c'è lo scudo della Bce sia perché nessuna coalizione ora è in grado di portare avanti politiche di riduzione della pressione fiscale». E un nuovo esecutivo tecnico, alla fine, non avrebbe la forza necessaria per cambiare Iva, Imu e Irpef «e perciò alla fine del 2013 avremo un avanzo di bilancio».
E poi, spiega il presidente Sace, l'ambasciatore Giovanni Castellaneta, «le nostre esportazioni continueranno a crescere al ritmo dell'8% annuo almeno fino al 2013, l'importante è che noi assieme alla Cassa depositi e prestiti riusciamo ad accompagnare sui mercati esteri anche le piccole imprese». Anche il presidente dell'Eni, Giuseppe Recchi, ha osservato come sia necessario «osservare il quadro internazionale: gli Usa funzionano lo stesso» anche se al Congresso non c'è una chiara maggioranza. Anche la più grande multinazionale italiana invita a non disperare.
Al di là della pioggia, il clima a Cernobbio è cambiato.
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