Stati Uniti

Negli Usa il clima è cambiato: il provvedimento passa con 74 voti a favore, compresi quelli di Obama e McCain. Solo 25 i contrari

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da Roma

Il «via libera» del Senato Usa al piano di Bush sgombra il campo della crisi dei subprime di una grossa incognita. Vero che manca ancora la controprova della Camera dei rappresentanti (attesa in nottata) che già lunedì scorso aveva bocciato l’esborso di 700 miliardi di dollari, ma il voto dell’aula nel Campidoglio - dopo il varo di due emendamenti che innalzano a 25mila dollari l’assicurazione federale sui depositi e dispongono sgravi fiscali in favore della middle class - è abbastanza indicativo del cambiamento di clima: 74 i sì, compresi quelli di Obama e McCain, contro solo 25 no.
Si compiace Barroso del decollo del piano Paulson: «Un passo nella giusta direzione. In questo momento è necessario sostenere la fiducia dei mercati» manda a dire il presidente della commissione che, in serata a Bruxelles, ha avuto un incontro informale con gli esponenti dell’Efr, in pratica la Confindustria europea di banchieri e assicuratori (ne fanno parte tra gli altri Ing, Generali, Ubs, Paribas, Unicredit, Axa, Allianz). Ma è un fatto che la decisione americana fa tornare la palla al di qua dell’oceano. Dove le idee restano confuse e tinte di «giallo».
Di due giorni fa l’annuncio che la Francia, nel summit di sabato avrebbe proposto a Gran Bretagna, Italia, Germania nonchè a Barroso e a Trichet di lanciare un fondo di sostegno di 300 miliardi di euro per difendere le banche europee dal collasso. Dopo un secco «no» della Merkel, da Parigi giungeva una correzione di rotta. Seguita ieri da una secca sconfessione dello stesso Sarkozy: «Smentisco tanto l’ammontare quanto il principio!». Qualcuno ci ha visto solo il tentativo di non far fallire il summit, visto che da Londra Gordon Brown dava l’ok all’annuncio della sua partecipazione solo dopo questa presa di posizione. Ma la storia non finiva qui. Perché «fonti diplomatiche olandesi» andavano intanto facendo sapere che la proposta del piano di salvataggio europeo era del governo de l’Aja. Senonchè proprio Balkenende, facendo ieri ingresso all’Eliseo, lo ha negato. E le fonti diplomatiche olandesi? «Un malinteso!» tagliava corto.
In sostanza non è chiaro per nulla che posizione assumeranno i governi della Ue, a cominciare da quelli del G8 che prenderanno parte al summit di Parigi. Molti, stanno procedendo per conto loro. Altri vorrebbero agire (francesi, belgi e olandesi sono nelle pesti per i default di parecchi istituti finanziari) ma non possono chiederlo apertamente per non suscitare polemiche e vere e proprie crisi diplomatiche. Altri ancora non ne vogliono sapere, specie se i loro istituti di credito non si sono lasciati affascinare dalla finanza creativa cara agli anglosassoni.
In questo quadro spiccano però le esortazioni di Fmi e Bce alla Ue a fare qualcosa per evitare che la crisi delle Borse intacchi una realtà produttiva sempre più depressa (e ieri alle prese con un picco di disoccupazione che non si vedeva da anni). Trichet, governatore della Banca Europea, di solito profondamente asettico rispetto ai voleri della politica - specie sul corso dei tassi - ha ieri ammesso come «in casi eccezionali, quando è a rischio la stabilità finanziaria, serve l’intervento dei governi». E accanto al suo intervento, sono da registrare anche quelli del presidente delle banche private tedesche Klaus Peter Mueller e di quello di Deutsche Bank, Josef Ackermann, per i quali - a prescindere dal parere della Merkel - occorrerebbe studiare provvedimenti di garanzia per almeno una parte dei debiti bancari. «Servono soluzioni europee simili al piano Paulson» ha detto senza mezzi termini Ackermann.


Il tutto mentre gli irlandesi, senza dilungarsi in discussioni europee, ieri hanno varato con un blitz una legge che garantisce 400 miliardi di euro per i prossimi 4 anni alle banche dell’isola, facendo infuriare i britannici per la concorrenza sleale con cui ora l’Eire minaccia i loro istituti di credito.

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