Da Storace a Marrazzo: la poltrona maledetta

Quelle carriere rovinate dopo l’esperienza in Regione

Roma - Argomento delicato, ma ora i se­gnali sono inequivocabili. Urgono prov­vedimenti seri. Se l’acqua benedetta non basta, provate con lo champagne. Nell’incertezza,giocatevi i numeri (non crediate però che possano essere spiat­tellati sulle pagine di un giornale). In ogni caso, sappiatelo: «quella» poltrona porta rogna.
Non roba da poco, non malesseri pas­seggeri. L’energia negativa dev’esserci entrata dalla porta girevole (quelle del­la politica lo sono sempre). Finito il Ven­tennio d’oro, più o meno dai Settanta al Novanta, anni di Vacche grasse, sotto la scure della Nemesi ci sono finiti tutti. Chi entra in quella stanza, presto o tardi vedrà abbattersi sulla testa scandali, scandaletti, inchieste, cimici, lo scorbu­to e la
scippacentrella . Renata Polverini non è un caso, è soltanto l’ultima dei malcapitati della Pisana, una «maledi­zione » che sta tra i Maya e Tutankamòn. In fondo si sapeva fin dall’inizio che l’istituzione delle Regioni fosse una co­sa un po’ inutile, un’elefantiasi degli ap­parati, un regalino che la casta (allora nascente) faceva a se stessa. Così la pol­trona di presidente della Regione Lazio andò, nei primi anni, in alternanza rigo­rosa, a dc e socialisti (unica eccezione, il papà di Giuliano Ferrara, Maurizio, co­munista ultratogliattiano). Anni felici, ripagati persino con vitalizi d’oro, dop­pi come legge comandava.
Ma con l’ultimo della schiera, Carlo Proietti, emanazione lieve del temibile Paris Dell’Unto (macchina da voti del Psi laziale), qualcosa comincia a cam­biare. Le inchieste giudiziarie di quegli anni scoperchiano strani giri e, in parti­colare, «49 telefonini d’oro» (così titola­rono i giornali) regalati dalla presiden­za ai consiglieri. Proietti viene spazzato via. Del successore, già presidente del Wwf, Arturo Osio, dopo la breve espe­rienza di presidente, s’è persa qualsiasi traccia, politica e non. Arriva Piero Bada­loni. Giornalista brillante,«cronista del­l’anno » nell’80, volto noto del
Tg1 , car­riera che s’impenna. Ci si mette di mez­zo la vanità: cede alle insistenze di Betti­ni, Veltroni, e Vaticano, s’immola. Le elezioni? Una passeggiata. Dopo di che, il nulla. Di lui si perdono le tracce men­tre ancora siede sulla poltrona maledet­ta: l’opposizione lo prende in giro, la giunta viene celebrata per la totale irrile­vanza. Vaso di coccio in mezzo a vasi d’acciaio che si spartiscono prebende, il pio Badaloni riesce nel miracolo di tra­sform­are un solido feudo del potere cat­tocomunista in una cittadella fragile, sulla quale marcerà Francesco Storace. A Badaloni non resta che la fine di una carriera di giornalista e la contempora­nea cessazione di ogni velleità politica. Tornato mestamente in Rai, lo vediamo talora in tristi corrispondenze da Ma­drid: ma è come se «quella» poltrona gli avesse succhiato anima ed entusiasmo. Lo stesso ci sembra sia accaduto al foco­so Storace: più che un colonnello di Fi­ni, un vulcano; un satanasso, alla presi­denza della Vigilanza Rai. Diventato go­vernatore, comincia la débâcle :dalle«ci­mici » che spiano la rivale, Alessandra Mussolini, al «Laziogate», poderosa in­chiesta sugli appalti sanitari della Regio­ne.
Ecco così Piero Marrazzo, altro gior­nalista Rai dal pedigree imponente, fi­glio di Giò, carrierone esemplare, esem­plare marito e padre di figli. Al culmine della gloria, viene proiettato (maggio 2005) a governare la Regione, trampoli­no per traguardi maggiori, nessuno escluso. Tutto crolla nel modo che sap­piamo, quando il governatore comincia a essere ricattato da delinquenti che co­noscevano le sue frequentazioni parti­colari. L’ansia del potere lo scava den­tro, fin nell’intimo,fino alla sfera incono­scibile del desiderio sessuale. E sul confi­ne tra uomo e donna Marrazzo si smarri­sce, trova la perdizione e la maledizione in un colpo solo. Ora tocca alla Polveri­ni, anima «sociale» di una destra che non si riconosce più. La carriera nascen­te naufraga sotto il peso degli accidenti di questi due anni scarsi: crisi economi­ca senza precedenti, cancro alla tiroide, il tumore di una maggioranza ingorda.

Forse Renata vedeva quel che passava alle spalle della sua poltrona, di «quel­la »poltrona, forse no. Ma d’ora in avan­ti, a chiunque tocchi, sarà bene avere dieci occhi che guardino dappertutto. Uno anche verso il malocchio.

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