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Il tecnico testardo che vuole evitare di finire come Grilli

Tensioni sul piano economico. L'ex direttore di Bankitalia non accetta un ruolo da comprimario come il suo predecessore

Il tecnico testardo che vuole evitare di finire come Grilli

Parole strane per un ministro tecnico che fino a ieri si è tenuto scientemente alla larga dalla ribalta. Fabrizio Saccomanni aveva minacciato altre volte le dimissioni, la sua irritazione trapelava nei retroscena e da alcune dichiarazioni - ad esempio alla vigilia del decreto sull'Imu - che arrivavano spesso al limite, ma non lo oltrepassavano mai.
Ieri, invece, il responsabile dell'Economia ha voluto fare scoppiare il caso direttamente tra le mani di Enrico Letta. Il messaggio che Saccomanni ha voluto recapitare al premier è che lui, questa volta, non ha intenzione di farsi scavalcare dai politici della maggioranza e non si limiterà a trovare le coperture per scelte fatte da altri. Cioè da Pd e Pdl che litigano su tutto, ma si stanno scoprendo d'accordo nel non seguire le sue raccomandazioni sull'Iva.
La paura di Saccomanni è che nei prossimi giorni - in particolare con la legge di Stabilità - si ripeta la «cura» che Pd e Pdl inflissero al governo Monti e all'ex ministro dell'Economia Vittorio Grilli.
L'ultima legge di stabilità dell'esecutivo tecnico fu modificata sostanzialmente in Parlamento, senza compromettere l'equilibrio dei conti. Era inattaccabile dai guardiani europei dal punto di vista delle finanze pubbliche, ma perse la gran parte delle scelte strategiche indicate dal dicastero dell'Economia. Monti e Grilli, che erano a fine corsa, accettarono.
Saccomanni, invece, non vuole un ruolo da comprimario e, soprattutto, non vuole presentarsi a Bruxelles e, ancora di meno, alla Bce di Mario Draghi, con scelte diverse da quelle che ha annunciato a suo tempo. Il problema di «credibilità» che ha citato nel colloquio con il direttore del Corriere, è questo.
A irritarlo le avvisaglie di un «commissariamento», se non del ministero, delle scelte fondamentali, che ha già sentito chiaramente nei mesi scorsi.
Sull'Imu, lui aveva frenato fino all'ultimo, sicuro che alle fine sarebbe passata al massimo una franchigia per alleggerire solo alcuni proprietari di prime case. La scelta politica del premier Letta e di Pd e Pdl, è stata invece di cancellare le rate 2013 sulle abitazioni principali e mettere in cantiere la riforma per gli anni successivi.
Copione ancora più irritante sulla stangata Irpef che colpiva le seconde case sfitte nel decreto Imu. Saccomanni l'aveva prevista e, dietro le quinte, motivava la tassa sulle casette al mare come una «scelta di equità». Premier e maggioranza stralciarono quella parte del decreto senza avvertirlo.
Adesso la situazione è sicuramente più difficile. Il ministero deve trovare coperture per quasi sette miliardi di euro. Ma - osservava ieri un esponente della maggioranza - non è possibile che Saccomanni pensi veramente che ci sia chi vuole fare saltare il tetto del deficit facendoci ripiombare in una procedura di infrazione. Semmai il ministro sta cercando di evitare che la maggioranza che sostiene il governo, cambi il corso della politica economica, anche se a saldi invariati.
A metterlo in allarme, più che il Pdl che ha sempre avuto una posizione netta (abolire l'Imu sulla prima casa e sterilizzare l'aumento dell'Iva), il cambio di marcia del Pd. I democratici stanno cercando di uscire dall'angolo. Nei giorni scorsi all'assemblea si è sentito addirittura qualcuno (Matteo Renzi) che non ha escluso una trattativa con Bruxelles per sforare il tetto del tre per cento. Ma anche l'ala governativa - compreso il segretario Guglielmo Epifani - ha deciso di prendere posizione contro l'aumento dell'Iva.

Praticamente una campagna elettorale, che lui non vuole fare.

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