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La tempesta perfetta che può uccidere l'Ilva

Arrestato a Londra Fabio Riva, figlio del patron. E il gip rifiuta il dissequestro delle merci già prodotte

La tempesta perfetta che può uccidere l'Ilva

L'acciaio prodotto rimane dov'era, e cioè sotto sequestro su una banchina del porto di Taranto in attesa che la Corte costituzionale si pronunci sulla legge voluta dal governo, quella che avrebbe dovuto sbloccare la situazione e salvare il salvabile; a Londra invece, Fabio Riva, vice presidente di Riva Fire, si costituisce negli uffici di Scotland Yard. L'ultima svolta giudiziaria sul più grande stabilimento siderurgico d'Europa, un colosso ormai barcollante in una città divenuta un'autentica polveriera, si consuma sull'asse Puglia-Inghilterra.

Ma dubbi e timori continuano a intrecciarsi e ad aleggiare sulla sorte degli operai, in tutto undicimila dipendenti oltre a quelli dell'indotto che si sentono franare il terreno sotto i piedi. E così, in queste ore Taranto è ancora una città con il fiato sospeso. Ma è anche una città blindata: nel primo pomeriggio è prevista una riunione in prefettura con il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, e il centro urbano è stato trasformato in una grande zona rossa: tutto bloccato dalle 8 alle 20, traffico interdetto, 350 agenti mobilitati sul delicato fronte della sicurezza mentre diversi furgoni della polizia già da ieri sera presidiano lo stabilimento.

Fabio Riva era ricercato dal 26 novembre scorso: su di lui pende di un'ordinanza di custodia cautelare del gip del tribunale di Taranto Patrizia Todisco nell'inchiesta per disastro ambientale avviata a carico dei vertici dell'Ilva.

Il 10 dicembre il giudice per le indagini preliminari emise anche un mandato di arresto europeo, contestando i reati di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, emissione di sostanze nocive e avvelenamento da diossina di sostanze alimentari. Dopo aver pagato una cauzione, Riva è stato messo in libertà vigilata in attesa dell'udienza sulla richiesta di arresto europeo e di estradizione, che si terrà tra un mese e mezzo.

Intanto, a Taranto il gip Todisco, chiamato a pronunciarsi sull'istanza di dissequestro della merce prodotta, ha accolto la richiesta della Procura sollevando la questione di legittimità costituzionale della legge 231, la cosiddetta «Salva Ilva»: gli atti sono quindi stati inviati alla Consulta e nel frattempo il giudizio è stato sospeso. Secondo il giudice, infatti, gli articoli 1 e 3, che consentono all'azienda la continuazione dell'attività produttiva e la commercializzazione dei prodotti finiti e semilavorati, compresi quelli realizzati prima del loro sequestro, violano ben 17 articoli della Costituzione. Insomma, una bocciatura totale.

E così per il momento rimangono i sigilli su quell'acciaio, un milione e 800mila tonnellate per un valore di circa un miliardo di euro, che l'azienda ritiene indispensabile anche per pagare gli stipendi degli operai. Proprio per questa ragione il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, annuncia di aver presentato un'istanza alla Procura di Taranto per chiedere «la revoca del provvedimento di sequestro preventivo, disposto il 22 novembre scorso, impegnandosi - è scritto in una nota - a destinare le somme ricavate dalla commercializzazione del prodotto sequestrato alle opere di ambientalizzazione previste dall'Aia e al pagamento dello stipendio agli operai e quant'altro necessario per la sopravvivenza dell'azienda».

Adesso, in attesa che la Consulta scriva l'ultima parola sullo scontro magistratura-governo, i riflettori sono puntati sulla visita del ministro Clini, che oggi presenterà ai vertici dell'Ilva e ai rappresentanti di istituzioni ed enti locali il nuovo garante dell'Aia, Vitaliano Esposito, e il commissario per la bonifica dell'area di Taranto, Alfio Pini. Il responsabile dell'Ambiente potrebbe incontrarsi con il procuratore, Franco Sebastio.

Il quale, a proposito di un suo eventuale lodo per risolvere la vicenda della merce sotto sequestro risponde: «Il codice di procedura penale e la legge costituzionale».

E ora la Ue indaga sulla raffineria Eni

Ancora un possibile caso di conflitto tra lavoro e salute, di nuovo a Taranto. Lo solleva l'Unione europea: la Commissione ha infatti avviato due indagini che riguardano la raffineria dell'Eni e il progetto di costruzione di un metanodotto. Bruxelles vuole chiarire se è possibile ravvisare una violazione della direttiva Seveso, quella che prescrive norme comuni contro i grandi rischi industriali. Ma non è stato un capriccio dei funzionari di Bruxelles ad aver innescato l'inchiesta. Tutto parte da Taranto stessa: a far partire le denunce è stata l'Associazione ambientalista Legamjonici, secondo cui la procedura di valutazione d'impatto ambientale e l'obbligo di consultazione della popolazione non sono stati rispettati. La notizia è stata resa nota durante una discussione in commissione Petizioni del Parlamento europeo. «Un intreccio pericoloso tra diritto al lavoro e diritto alla salute.

Ancora a Taranto. L'ennesima procedura che crea preoccupazione e getta discredito», ha commentato la presidente della commissione Petizioni, Erminia Mazzoni (Pdl), che ha aggiunto: «Spero che non siamo di fronte a un'altra Ilva».

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