Tisci, Puglisi e Valli Tre italiani a Parigi tra bon ton e comodità

Parigi«La borghesia è morta viva la borghesia». Sembra questo il messaggio della stupefacente collezione di Riccardo Tisci per Givenchy in passerella l'altra sera a Parigi. A stupirci non sono tanto gli abiti quanto la riflessione che ci sta dietro: una radiografia spietata di questi nostri tempi tristi e volgari in cui le ragazzine arrivano a prostituirsi per comprarsi vestiti e accessori firmati. Tisci di queste cose probabilmente non sa niente perché ormai vive a Parigi da anni e poi è nato (unico maschio di nove figli) in una famiglia che faceva una gran fatica ad arrivare a fine mese, ma aveva (e ha) un sacro rispetto delle cose che contano sul serio tra cui lavoro, buona educazione e dignità. Ecco perché la sua traduzione in moda del cosiddetto bon ton è talmente didascalica da rasentare il caricaturale. Ci sono tutti gli stilemi del perfetto guardaroba da signora della buona borghesia: lo chemisier, il cappottino di pelliccia, le scarpe sottili con piccolo tacco, il maculato e le gonne sotto al ginocchio. La forma degli abiti ricorda un po' il primo Valentino e molto Saint Laurent nel senso di Yves citato anche nell'educata versione del nude look. E' tutto molto bello e molto normale finchè non ti accorgi che quelle graziose giacchine con la martingala risalita fino allo sprone hanno qualcosa di vagamente contenitivo e la stessa cosa appare in forma molto più evidente nella stola di visone con due tubi laterali in cui infilare le braccia. Come se questo non bastasse le 50 modelle hanno tutte due cerottini rossi ai lati della fronte che probabilmente prendono in giro quei terribili tiranti anti-rughe che le signore-bene si mettevano quando non era ancora così di moda il lifting. Una gran bella sfilata che lascia parecchio amaro in bocca. Non è la sola cosa ad amareggiarci. Da Giambattista Valli lo stilista ci dice perentorio che dobbiamo rivedere le nostre priorità solo perché vorremmo ottenere in italiano le stesse risposte che ha appena finito di dare a un collega inglese. Da Ungaro le cose vanno anche peggio, ma pazienza perché almeno la collezione ci piace moltissimo: Fausto Puglisi ha veramente quella cosa magica che i tedeschi chiamano zeitgeist, ovvero lo spirito del tempo. Valli sembra invece precipitato nel girone dell'introspezione. Una sola forma ci sembra un po' pochina per un virtuoso delle forbici come lui anche se gli abiti hanno una curiosa gonna a palloncino con le orecchie forse per via del taglio a poncho. Molto interessante invece l'uso di due diversi materiali davanti e dietro e sempre con superfici tridimensionali anche e soprattutto nel caso del macramè di lana. Certo è difficile credere alla svolta minimalista di un designer che è sempre andato al massimo. Per cui adoriamo il cappottino in raso stampato a rose grafiche, le due pellicce di breitshvantz rosso oppure rosa cipria e rimpiangiamo di cuore le ruscellanti gonne che l'hanno fatto diventare quello che è. “Ma chi l'ha detto che per essere sexy una donna deve mostrare le gambe?” dice infatti Puglisi nel backstage poco prima di far sfilare la sua androgina jolie dame: versione modernissima e ultra convincente di quello stile maschietta lanciato da Monsieur Ungaro nei primi anni Settanta. Allora la musa era Annouk Aimèe.

Oggi è una bella ragazza che si mette il grosso maglione di lui anche per la sera e il tailleur pantalone con la macrostampa spinata a qualsiasi ora, il magnifico palò a forma di scatola con la stampa a rose un po' sfatta e forse pixelata. Indimenticabili le pellicce di visone rosa e nero oppure nero con blocchi di bianco, le gonne a volant in sbieco e l'abito in plumetis montato su rete tecnica: per niente bling bling pur essendo sexy da morire.

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