Vendola vuole diventare papà e fa saltare in aria la sinistra

RomaAltro che primarie, «se potessi fare quello che voglio, farei un figlio». E a dirla tutta «farei il padre meglio di come ho fatto il politico». Parola di Nichi.
E c'è da crederci, che a conti fatti Vendola preferirebbe le fatiche di una tardiva paternità alla competizione per la futura premiership, perché le primarie del centrosinistra (e non solo per lui: pure Bersani probabilmente comincia a sognare una licenza per paternità, nel suo caso la terza) si stanno trasformando in una via crucis. Il leader di Sel annuncia che solo a fine mese svelerà se sarà candidato: «Ho preso due settimane di tempo per sciogliere la questione», promette in una intervista a Pubblico.
Comunque la metta, per il governatore pugliese la partita si presenta assai complicata: se si tirasse indietro, dopo che per tre anni è andato reclamando le primarie (con l'obiettivo, rivendicavano i suoi, di «lanciare da sinistra l'Opa sul Pd»), sarebbe difficile da spiegare, e tutti lo accuserebbero di voler fare un regalo proprio a Bersani, sfilandosi e lasciando al segretario Pd l'elettorato più gauchiste: quel «soccorso rosso» denunciato dal Manifesto. Ma se partecipa e - come tutti i sondaggi lasciano pensare - arriva terzo dopo Bersani e Renzi, non è molto meglio. Vendola si mostra ottimista, assicura di avere già un potenziale 20% di voti «senza aver neppure iniziato a fare campagna» e dice che le primarie «rischio di vincerle», ma la speranza segreta è che sia una bella legge elettorale tutta proporzionale a trarlo di impaccio: a quel punto le primarie diventerebbero solo «la competizione per chi fa il capolista del Pd», quindi roba che non lo riguarda.
Nel frattempo, Vendola cerca visibilità, con movimentismi politici e dichiarazioni choc che gettano lo scompiglio in casa Pd. Punta con decisione all'elettorato libertario e gay, archiviando la grande prudenza precedente: «Dobbiamo batterci per riconoscere alle coppie gay il diritto ai matrimoni e anche alle adozioni», afferma. E dire che solo un paio di mesi fa lo stesso Vendola si era sottratto, accampando scuse diplomatiche, persino alla richiesta di presentare il libro autobiografico scritto dall'unica parlamentare lesbica dichiarata, e sposata (in Germania) Paola Concia, insieme alla giornalista Maria Teresa Meli. Un rifiuto che aveva lasciato di stucco la deputata: «I no di D'Alema o Veltroni me li potevo pure aspettare, ma quello di Nichi...», aveva commentato amareggiata.
Ieri è stato l'ex Ppi Peppe Fioroni a partire all'attacco di Vendola: in quattro e quattr'otto ha raccolto le firme di 27 deputati della sua corrente e le ha spedite a Bersani: «Caro Bersani, i partecipanti alle primarie di altre forze politiche devono presentare un programma compatibile e integrabile con il nostro», mentre il referendum sull'articolo 18 promosso da Vendola e Di Pietro «non è compatibile». Bersani ha replicato che la «carta di intenti» che i candidati dovranno firmare prevede che «in caso di dissensi tra gli alleati ci sia una cessione di sovranità. I gruppi parlamentari decidono e votano a maggioranza». Peccato che, nella stessa intervista a Pubblico, Vendola smentisca la carta di intenti: «Patto? Non c'è nessun patto». Per altro, dicono i maligni del Pd, la mossa di Fioroni non è tanto anti Vendola, quanto un segnale a Bersani: per le correnti Pd, le primarie erano anche un modo per contarsi e far valere poi il proprio peso negli organismi e nelle liste. Se invece si dovrà stare tutti blindati attorno al segretario, l'unica occasione per contarsi sarà l'assemblea nazionale del 6 ottobre, che dovrebbe votare la modifica allo Statuto (che ora prevede che il candidato premier sia il segretario) per fare le primarie.

Un appuntamento che sta mettendo in fibrillazione i bersaniani, che devono garantirsi la presenza e il voto di almeno 501 dei mille membri. E 500, dicono dal Nazareno, «non li abbiamo mai visti tutti insieme ad un'assemblea».

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